ALESSIO D’ELLENA (IT)

Alessio D’Ellena (1985, Marino, Roma) è un type designer e graphic designer italiano che vive a lavora a Milano. Nel 2017 fonda SUPERNESS insieme a Federico Antonini, con cui si occupa di ricerca e progettazione di caratteri tipografici e book design, indagandone le possibilità processuali e sistematiche.
Impegnato in ambiti diversi, dalla tipografia alla direzione creativa, Alessio non segue un iter progettuale rigido, ma viene spesso guidato dalla curiosità, che lo porta ad esplorare ed indagare i temi di lavoro.
Si occupa anche di didattica attraverso corsi e laboratori non strettamente ortodossi, in cui spesso l’accento è sul processo più che sull’output (Ied Torino, Bauer Milano, Aba Urbino, Naba Milano). Abbiamo avuto l’opportunità di fare una chiacchierata con Alessio e abbiamo indagato un po’ sul suo percorso, parlando anche dell’insegnamento e dello stato dell’arte nel mondo del design.

Il suo interesse per la grafica e i caratteri inizia presso l’Università Sapienza di Roma, durante il corso in Disegno Industriale. Dal secondo anno intraprende uno studio personale sulla tipografia che lo avvicinerà poi a Giovanni Lussu, con cui elaborerà la tesi triennale progettando un carattere tipografico senza grazie.
Continua poi gli studi presso l’ISIA di Urbino, dove incontra Luciano Perondi, altra figura fondamentale del suo percorso. Insieme a lui, Alessio porterà come tesi una ricerca sulla tipografia matematica e parametrica, in cui viene discussa la stretta interdipendenza tra caratteri e informatica, per esempio come avere supporti digitali che aiutino a disegnare caratteri. Strumenti digitali che si intrecciano spesso con studi che sfociano nell’Intelligenza Artificiale. Dopo una breve esperienza con lo studio SPECTACLE a Roma, fondato insieme ad alcuni amici (ex studenti dell’ISIA di Urbino – Luigi Amato, Federico Antonini e Francesco Piarulli), e un paio di anni di collaborazione con Erasmo Ciufo, di Lettergram, ricomincia gli studi con un corso di TypeMedia a Den Haag (L’Aia). Un corso intensivo e un metodo accademico stimolano molto e allo stesso tempo mettono alla prova Alessio. Questa volta il progetto di tesi è la famiglia di caratteri “Laica”.

La font nasce da uno scontro di punti di vista: per farla semplice, Alessio aveva iniziato uno studio del contrasto basato sull’intreccio dei contorni di una lettera. Per lui si trattava di una derivazione data dalla linea vettoriale, per l’Accademia era una questione di rapporti tra elementi calligrafici. Conclusione? Dopo un’ulteriore elaborazione la proposta finale di Alessio vince il TDC “Certificate of Typographic Excellence” for Laica type-family a New York nel 2017. Decide poi di rilasciare la font e dopo 4 anni riesce finalmente nell’obiettivo insieme a Dinamo ABC, che rilascia ufficialmente il primo carattere graziato.

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Alessio è interessato ai processi del Type Design (e del Design stesso) come non-dogmatic practice: in pratica vede i caratteri, le regole, gli strumenti, non solo come un sistema, ma anche come una possibilità per poter creare il proprio punto di vista, provando, osando. Questo avviene nel suo studio, ma anche nei laboratori e corsi che tiene come docente:

“Alla fine non c’è una sola strada maestra, ogni studente dovrebbe avere la possibilità di un margine di indagine personale. Fare quello che gli piace. Il riferimento alla dogmaticità è il fatto che nel disegno dei caratteri tutti credono ci siano delle “regole. Parlare di regole è fuorviante e forse sbagliato… Se un carattere è un sistema da gestire, per tanto bisogna progettare il sistema stesso: le regole devi progettarle tu. Ci vuole senza dubbio un’infarinatura storica, conoscere il contesto, le pratiche, le tecniche di stampa, di produzione, i metodi, gli strumenti. Quando ci sono tutti questi elementi non c’è una regola. La regola è “Quale sono i tuoi metodi, le tue pratiche, come le hai sviluppate?” Insieme a Federico Antonini pensiamo sempre al come piuttosto che al cosa.”

Lo stesso approccio è messo in pratica durante i momenti di didattica: no alle slide pre-impostate e niente ripetizioni del programma didattico. Ci sono delle informazioni che devono essere comunicate allo studente, ma non è detto che arrivino nello stesso ordine del laboratorio precedente. Non ci deve essere un travaso di nozioni da docente a studente, pratica fin troppo diffusa, ma piuttosto un dialogo:

“Insegnare è come progettare, cerco di fare sempre cose nuove. Ho difficoltà nell’immaginare la didattica solo come un organizzazione di informazioni da trasmettere, mi trovo più a mio agio pensarla come un rapporto dialettico. Cerco di non dire allo studente cosa deve fare, quali regole seguire, ma imposto un dialogo per poter orientarsi e sistematizzare il proprio percorso. Magari non si arriva al 100% del risultato, non si raggiunge completamente l’obiettivo, ma senza dubbio si impara di più, sia lui che io.
Qui torna anche la non dogmaticità della pratica: non è necessariamente un processo lineare e universale
ma un’esplorazione sempre mediata dalle proprie attitudini e modalità di lavoro. Partendo da un concept, un brief, un processo, ci son tanti modi per andare avanti con un progetto. Faccio fatica a porre il discorso didattico-progettuale in termini di giusto Vs sbagliato. Pensiamo che anche fallire / non finire un progetto/obiettivo è comunque un risultato. Fare un progetto che non porta alle estreme conseguenze di quello che stavi facendo è un risultato. Non finire una cosa è il risultato, tanto quanto farla.”

Per Alessio lo strumento principe del design è il dialogo, l’esplorazione, l’indagine: il processo stesso diventa un mezzo che si evolve a seconda del progetto e che può portare a mille diverse conclusioni, a seconda del designer. Il progetto non è solo l’obiettivo, ma il metodo con cui creare il proprio punto di vista, il proprio strumento per affrontare i lavori futuri. Questo è un aspetto fondamentale che lo studente deve comprendere, fare design non significa consegnare il progetto perfetto. Significa mettere in dubbio una serie di costrutti e limiti per trovare una delle tante possibili soluzioni che soddisfi il committente, e al tempo stesso che lo aiuti a capire qualcosa di più del contesto in cui sta operando.

“Per me l’ambiente didattico non deve renderti sicuro di te, un corso di design non è un corso di personal branding o di life coaching, piuttosto deve renderti chiaro che ci saranno sempre moltissime cose che non conosci. Ormai tutti i percorsi sono professionalizzanti, bisogna sempre essere sicuri di sé. Anche se non si sa, si finge di sapere. Cerco sempre di evitare un approccio legato all’ostentazione della sicurezza di se. C’è bisogno di informarsi e conoscere, per se stessi. Bisogna essere come spugne. Ascoltare e capire come avere informazioni dal cliente (se si tratta di un lavoro commerciale). Non solo brief. Come designer, come ruolo, bisogna ammettere il fallimento, il passo indietro, l’onesta di non sapere. Uno spunto onesto per comprendere meglio la propria pratica progettuale.”

Ci ritroviamo in una condizione in cui il lavoro creativo viene basato principalmente su età e competenza:uno ch e fa lo stesso lavoro da 50 anni ha più esperienza di chi lo fa da 10. Il contesto educativo e culturale però cambia. Visti gli aggiornamenti periodici per il lavoro, potremmo crearne anche per la cultura e gli aspetti sociali. Per Alessio dovremmo rimettere l’istruzione al centro, non quella binaria del giusto-sbagliato, ma l’idea di poter cambiare opinione, discostarsi dalla via maestra, sbagliare. Siamo ormai abituati a vivere il design e la grafica come delle discipline super competitive, in un ambiente (quello di Milano) di iper lavoro. Bisogna raggiungere dei risultati e il fallimento non è contemplato, non solo nel design, ma in quasi tutte le discipline. Se ci pensiamo però, spesso sbagliare porta a nuove scoperte, nuove innovazioni, nuovi punti di vista.

Per concludere, partendo dal metodo non-dogmatico di Alessio, abbiamo trovato un punto di vista interessante che mette al centro del progetto il dialogo. Non ci sono delle regole da seguire e nemmeno un percorso preimpostato. L’obiettivo primario è conoscere di più, acquisire più competenze per poter affrontare una sfida. Non è importante il risultato, ma il come, cioè il modo e le pratiche con cui siamo riusciti ad arrivare a quel determinato progetto.
Come designer e progettisti, dobbiamo mettere in dubbio le regole, i pregiudizi e i modus operandi, cercando di andare oltre al costrutto di “sbagliato”. Dobbiamo progettare per noi stessi, per poter comprendere meglio l’ambiente che ci circonda e crearci il nostro punto di vista su quello che accade nel mondo.

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