COVI/DESIGN #4 (IT)

Iniziamo il quarto articolo di Covi/Design con un approfondimento su “coronagrifting” e “PR-architecture”, delle considerazioni importanti fatte da Kate Wagner negli ultimi giorni, che vale la pena condividere e conoscere. Kate è una critica di architettura e la creatrice del blog McMansionHell, nato per “educare le masse riguardo concetti di architettura, pianificazione urbana, ambiente e storia, portando esempi dai posti che amiamo e odiamo di più: le periferie.”

Kate è la creatrice del termine Coronagrifiting (potrebbe essere tradotto come corona-truffa) in riferimento agli articoli di blog come dezeen, designboom e archdaily che mostrano soluzioni semplicistiche come risposta al virus. Coronagrifting sono “nuovi progetti innovativi, incentrati sulla salute, che affrontano i problemi all’intersezione di dispositivi indossabili e mobilità personale”, che è il modo in cui la PR-chitecture parla di “divisori e maschere/ine per il corpo”.
Con PR-chitecture invece Kate vuole indicare quei contenuti creati da 0 per sembrare belli ed accattivanti sui feed instagram.

Cito Kate Wagner:
“Potreste chiedervi: “Qual è il danno in tutto questo, davvero, se è un buon messaggio?” E la risposta è che le persone sono molto ben incoraggiate a rimanere a casa a causa della dilagante diffusione di un virus mortale su sollecitazione delle autorità sanitarie del mondo, e che questi brividi del mondo dell’arte non udenti stanno usando una crisi del genere per autopromozione spudorata e la generazione di clic e entrate, fornendo allo stesso tempo poco o nessun beneficio materiale a chi è a rischio e in prima linea.”

Quello che purtroppo manca ad alcuni progettisti è lo spirito critico: per esempio, in un periodo segnato dall’abuso di plastiche e dall’incapacità di smaltire tutto quello che produciamo, che senso ha produrre dei nuovi divisori in plexiglas? O delle nuove mascherine in plastica? Assolutamente nessuno. Con questo non voglio dire che tutti i prodotti in questi momento fanno parte del Coronagrifting, pensiamo alle mascherine trasparenti per permettere a chi è sordo di leggere il labiale, ma molti sono inutili, frutto della necessità di portare qualche nuovo prodotto sul mercato.

Il problema maggiore non sono questi progettisti, ma noi, pubblico, giornalisti, critici, professionisti, che condividiamo questi progetti senza ragionarci e li proponiamo come soluzioni finali, mentre molto spesso sono solo veloci tamponamenti, disegnati per poter essere pubblicati sul blog cool.

Dopo questa introduzione parliamo di progetto, vero, e lo facciamo con Xylinum Mask di Sum Studio. Pensando ai dispositivi di protezione individuali Elizabeth Bridges e Garrett Benisch, in quanto bio-designer, hanno guardato al mondo naturale che è pieno di filtri, membrane e barriere tessute che sono pronte per essere utilizzate o imitate. Per dimostrare quanto siano accessibili questi materiali hanno deciso di coltivare la propria maschera di cellulosa batterica nella loro cucina, nel tentativo di creare un prototipo che poteva essere utilizzato proprio come il tessuto soffiato a fusione delle mascherine N95, che scarseggiano.

La cellulosa batterica è creata da un batterio comune, chiamato xilinum acetobacter, sulla superficie di un liquido su cui abita. Questo batterio può essere coltivato con poca acqua, tè, zucchero e un piccolo campione. Con il loro moltiplicarsi, i batteri formano le fibre di cellulosa in un’unica membrana che può essere raccolta ed essiccata come materiale lavorabile. Una volta che è abbastanza spesso, può essere rimosso e appeso ad asciugare come un foglio. Il risultato è flessibile e resistente, ma si degrada facilmente nell’ambiente, può essere quindi impermeabilizzato e oliato con ingredienti naturali per avere la morbidezza e la forza della pelle sottile. La mascherina andrebbe poi riciclata direttamente nell’umido.

L’intero processo di produzione dura circa due settimane, ma l’aspetto positivo è che chiunque, anche a casa propria, può iniziare una propria produzione, che sarà sempre più sostenibile di quella attuale. Con questo progetto, Sum Studio utilizza il biodesign per guardare al mondo naturale e fornire soluzioni sostenibili senza danneggiare l’ambiente.

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