È POSSIBILE REALIZZARE LA “CITTÀ DEI 15 MINUTI”?

L’anno scorso la città di Milano ha inserito all’interno del documento pubblico “Milano 2020 Strategia di adattamento” i riferimenti alla città dei 15 minuti, ma di cosa stiamo parlando? Questo concept vuole garantire ad ogni cittadino la possibilità di raggiungere da casa proria i servizi essenziali in quindici minuti, a piedi o in bicicletta, ma non si tratta di un’idea nuova, bensì ha origini molto lontane. Questa tipologia urbana è stata elaborata da Clarence Perry agli inizi del ‘900 e presentata per la prima volta nel 1923. Le “unità di vicinato” (neighborhood unit) prevedevano quartieri residenziali compatti che attraverso la combinazione di servizi, abitazioni e spazi pubblici potevano dare un’identità sociale e culturale su scala locale. Il piano fallì, principalmente perchè non ci furono abbastanza fondi e una visione collettiva appoggiata dal governo federale.

Questa tipologia di sviluppo è tornata alla ribalta negli ultimi anni e si è diffusa intorno al 2015, durante la COP21 Conferenza di Parigi sul Clima. Uno degli eventi, il C40 Cities Network, ha visto i sindaci delle maggiori città mondiali trovarsi per discutere nuove vie alternative di sviluppo sostenibile in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Il nuovo concept urbano, promosso anni fa dal professor della Sorbona Carlos Moreno, è divenuto il cavallo di battaglia delle sindache Anna Hidalgo (Parigi) e Ada Colau (Barcellona). Le unità di vicinato contemporanee hanno diverse declinazioni, dalla città dei 15 o 30 minuti, fino ad arrivare ai quartieri dei 20 minuti, ma il principio è lo stesso del 1923: riprogrammare infrastrutture e attività in modo da creare delle zone in cui i cittadini hanno la possibilità di raggiungere tutti i servizi essenziali in pochi minuti.

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Tra tutte le città europee, Barcellona è quella in fase più avanzata: iniziato nel 2016, il progetto, che ha visto la fine della prima fase esecutiva nel 2019, è stato condiviso con abitanti, commercianti e gestori di servizi pubblici. Il risultato sono due superilles, Sant Antoni e Poble Nou, isolati di 500×500 metri in cui è escluso il traffico e i servizi, le aree pedonali e quelle pubbliche sono state potenziate. Al momento ci sono alcuni dati significativi dall’analisi degli effetti dell’intervento, ad esempio una riduzione di NO2 grazie alla diminuzione del traffico veicolare. In ogni caso si tratta di quartieri centrali, già ben dotati di servizi e collegamenti. Il risultato reale di questa nuova tipologia urbana potrà essere valutato solo quando inizieranno gli interventi sulle periferie, per qualsiasi città, da Barcellona a Milano.

In ogni caso, per garantire tutti i servizi essenziali a 15, 20 minuti dalla propria casa non è solo necessario ripensare il tessuto urbano, ma soprattutto quello economico. Se molti di noi sono obbligati a passare tutti i giorni un paio d’ore sui mezzi pubblici o sul proprio veicolo, è perchè è necessario. Per avere veramente una città dei 15 minuti funzionante abbiamo bisogno di ripensare l’economia stessa della città: il posto di lavoro, l’educazione ma anche il sistema immobiliare. L’isolamento domestico ci ha fatto capire quanto è importante l’economia di prossimità: di solito chi vive in zone più centrali ha già tutto quello di cui ha bisogno nel giro di pochi km, ma chi si trova invece in un quartiere periferico e residenziale ha bisogno di spostarsi. In questo caso l’offerta immobiliare è fondamentale: la differenza del valore di mercato degli immobili che c’è tra quartieri centrali e periferici crea un divario economico nei quartieri stessi e quindi un diverso stile di vita. La città dei 15 minuti impone uno sviluppo urbano che ha come obiettivo finale il benessere di tutti i cittadini: il quartiere dev’essere inclusivo, cioè garantire a tutti (dai bambini agli anziani) i servizi necessari, in maniera uguale e non discriminatoria.

È possibile quindi avere città dei 15 minuti? Sì è possibile, ma serve un grande sforzo da parte di tutti. Ogni quartiere dovrebbe avere servizi come scuole, uffici, aziende, bar, ristoranti, ospedali, uffici comunali, aree verdi, fontane, piste ciclabili e aree pedonali. Bisogna quindi mettere in dubbio la divisione tra città-campagna, centro-periferia, e così anche la nostra dipendenza dai veicoli. Bisogna permettere a tutti di istruirsi e trovare un lavoro nel raggio di 15/20 minuti da casa: qui sarebbero necessarie delle soluzioni ibride, anche lo smartworking può giocare un ruolo fondamentale. Quindi anche digitalizzazione, per fornire a tutti connessioni veloci e stabili per lavorare, studiare e accedere ai servizi online per il cittadino. Abbiamo bisogno di spazi flessibili e multifunzionali che possano soddisfare diversi bisogni senza la necessità di costruire nuovi edifici.
Naturalmente anche noi cittadini abbiamo un ruolo fondamentale in questa transizione e quindi c’è il bisogno di un cambio di paradigma anche da parte nostra: diciamo spesso che “il tempo è denaro” e poi viviamo in città che ci obbligano ad utilizzare veicoli e mezzi pubblici per spostarci, passiamo in media 8 ore fuori casa e il weekend scappiamo alla ricerca di relax e natura. È arrivato il momento di ridefinire il nostro benessere, rivalutare l’idea di tempo, di lavoro, e di stile di vita che abbiamo, solo così possiamo contribuire tutti alla creazione di città più sostenibili, sotto tutti gli aspetti.

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