PERCHÉ HOTHOUSE DEVE DIVENTARE L’ESEMPIO DA SEGUIRE

Progettata dallo Studio Weave per il London Design Festival 2020, la HotHouse è l’esempio perfetto per parlare di un tema importante per WeVux: il ruolo delle installazioni durante gli eventi pubblici di design.

Con sede a Londra, il pluripremiato Studio Weave fa parte del RIBA Chartered Architecture Practice, una selezione di studi di architettura approvati e promossi dal RIBA. Uno dei loro ultimi lavori, progettato nell’ambito del London Design Festival 2020 di quest’anno, è la Hothouse: un padiglione creato per attirare l’attenzione sull’aumento delle temperature causato dai cambiamenti climatici. L’idea alla base del progetto è quella di mostrare i tipi di piante che saremo in grado di coltivare facilmente nei giardini londinesi entro il 2050. L’obiettivo è ricordare alle persone il rapporto che abbiamo con la natura e le piante.
La struttura si trova vicino al Queen Elizabeth Olympic Park a Stratford rendendo omaggio alla storia precedente della zona, in quanto area di frutticoltura. Il verde è stato progettato dal paesaggista Tom Massey e comprende numerose piante tropicali. Alta sette metri, la struttura è costituita da una serie di archi in acciaio zincato sostenuti da funi in acciaio. Hothouse è stato costruito senza fondamenta permanenti ed è stato progettato per essere smontabile. Rimarrà a Stratford per il prossimo anno prima di essere smantellato e spostato in una posizione permanente, ancora da determinare. (continua)

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Nonostante si tratti di un progetto di qualche mese fa, trovo che sia importante condividerlo per due ragioni: oltre al messaggio che vuole diffondere, importante e super contemporaneo, si tratta di un’installazione che insegna effettivamente qualcosa all’utente finale, facendolo riflettere, non una mera struttura decorativa.
Eventi come il London Design Festival, la Dutch Design Week, ma soprattutto il Salone del Mobile ed il Fuorisalone, vengono sempre più sfruttati dai non addetti ai lavori per speculare. Negli ultimi anni, soprattutto per ragioni di marketing, il design è diventato la chiave per vendere, tutto è diventato design. Non lo diciamo solo noi, queste sono le parole di Margriet Vollenberg, fondatrice di Ventura Projects e Organisation in Design, intervistata nel 2017 (qui l’articolo in inglese).
Come dice Bruno Munari per l’arte, quanto tutto è arte niente è arte, quindi quando tutto è design, niente è design.
La dimostrazione pratica è il Fuorisalone del 2019, di cui abbiamo parlato qui: in sintesi, abbiamo notato un abbassamento della qualità generale. Da una parte la presenza di installazioni instagrammabili orribili e marchi completamente fuori luogo rispetto all’evento, dall’altra la partecipazione sempre più diffusa del mondo della moda (con installazioni e mostre di qualità superiore rispetto a quelle dei design brands).
Sono stati pochi i progetti effettivamente interessanti e contemporanei, in grado di portare dei contenuti all’altezza dell’evento e non solo visibilità ad un determinato marchio.
Si tratta di un declino percepito per di più dagli addetti ai lavori, proprio per la troppa attenzione verso il pubblico: l’alta affluenza è un fattore troppo importante per impedire a un’azienda di esserci e farsi vedere. Purtroppo però questa visibilità viene cercata attraverso l’instagrammabilità della presentazione/installazione, progettando qualcosa con il fine ultimo di essere facilmente pubblicato sui social, dimenticando il messaggio, l’obiettivo.

Al contrario, questo progetto è l’esempio di ciò che vorremmo vedere più spesso durante questi eventi. Non ha senso proporre solo l’installazione instagrammabile per il pubblico: una volta scattata la foto, l’interesse andrà sul prossimo post o sulla prossima storia da condividere. In questo caso il padiglione ha una funzione formativa, sensibilizza l’utente e porta un messaggio forte, in una forma estetica piacevole e sì, anche instagrammabile.
La pandemia e la quarantena ci hanno fatto capire (almeno teoricamente) che la normalità che seguivamo non è più sostenibile, che bisogna ridare valore all’autenticità e smetterla con i giochi di comunicazione, come scriveva Giorgio Armani nella sua lettera a WWD.
La possibilità di creare installazioni e interventi di design urbani durante eventi come il Fuorisalone dovrebbe essere sfruttata per formare e sensibilizzare l’utente oltre che intrattenerlo.

Durante il prossimo Salone del Mobile e Fuorisalone, spostato a Settembre 2021, ci sarà sicuramente qualche novità, ma speriamo che non sia l’ennesima installazione immersiva da condividere solo per ottenere like. Questa crisi è una sfida per le aziende del settore: c’è bisogno di ripensare a come creare, come presentarsi e come intrattenere, ma bisogna farlo in maniera critica, pensando soprattutto al contesto in cui ci troviamo.
Speriamo quindi a Settembre 2021 di poter ritrovare un po’ della qualità che ha caratterizzato Salone del Mobile e Fuorisalone e che nel corso degli ultimi hanni si è quasi completamente persa.

Come detto nell’introduzione, il progetto HotHouse è uno dei tanti esempi che potevo citare, un altro è Living Nature, Fuorisalone 2018. Il padiglione, progettato dallo studio Carlo Ratti Associati, aveva come scopo quello di mettere in luce come il design, la creatività e l’innovazione possano integrarsi con la natura e conciliarsi con il rispetto dell’ambiente, il controllo dei consumi e l’impiego di materiali e tecniche sostenibili, rinnovabili e non inquinanti.

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