IL DESIGN NEL 2021, imparando dal 2020

Per ricominciare l’anno vogliamo condividere alcuni concetti che per noi di WeVux saranno fondamentali per il 2021, ma tralasceremo i trend e le mode che vanno e vengono. Il 2020 ha cambiato il nostro modo di vivere e concepire il lavoro, il design, lo svago. Troviamo quindi necessario fare alcune riflessioni su quello che ci aspetterà partendo dai progetti e dagli articoli già pubblicati.

Prima di tutto è interessante notare come il concetto di mobilità stia cambiando: non parliamo solo dell’introduzione di piste ciclabili o aree pedonali, ma di una vera e propria ricerca verso una nuova tipologia di mobilità. Dalla soft mobility del motorino elettrico tascabile Poimo, alle innovative soluzioni di mobilità urbana fornite dallo studio Andrea Ponti Design, come il tram a guida autonoma Island e il taxi drone Kite. Questi progetti sono spesso frutto di un ragionamento sull’impatto ambientale dei nostri trasporti e sono necessari per poter avere un futuro più sostenibile.

Un argomento complementare è quello della città dei 15 minuti. Le grandi metropoli come Parigi, Barcellona e Milano stanno abbracciando questo nuovo concetto di sviluppo urbano che prevede che ogni cittadino potrà raggiungere in un quarto d’ora, a piedi o in bicicletta, i servizi necessari per mangiare, divertirsi e lavorare. Una proposta per quartieri residenziali integrati con servizi, verde, uffici e fabbriche. L’idea va nella direzione della sostenibilità ambientale, ma allo stesso tempo ha l’obiettivo di costruire comunità forti, in grado di sviluppare una propria identità sociale e culturale su scala locale, e contrastare l’anonimità tipica delle grandi città.

Per avere un nuovo stile di vita dobbiamo anche modificare la nostra idea di Verde, Ecologia, Sostenibilità, Industria, Progetto e così via: è essenziale un cambiamento radicale che deve partire soprattutto dalle aziende e dai designer, seguiti da istituzioni e amministrazioni pubbliche.

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Parlando di aziende e designer, possiamo dire purtroppo che la pandemia è stata un momento per sfruttare il nuovo mercato dei dispositivi di protezione. Il problema è che molti brand e professionisti sembrano progettare senza uno spirito critico, senza avere coscienza di quello che sta succedendo negli ultimi decenni: molte della proposte avanzate (e prodotte!) sono in plastica. In generale possono essere anche prodotti riciclabili, ma “la plastica rientra in quelli che vengono considerati ‘contaminanti emergenti’”, quindi c’è bisogno di industrie che smaltiscano correttamente e velocemente grandi quantità di plastica affinchè sia riciclabile.

Questa tendenza del design a creare dei prodotti apparentemente utili per il momento di crisi che stiamo vivendo può essere definita coronagrifting: il termine indica la creazione di progetti (legati all’attuale pandemia) con il solo scopo di un ritorno di visibilità. Questi prodotti cercano l’autopromozione ma non aiutano nè a livello ecologico nè a livello sociale, anzi, come già detto inquinano ancora di più. Naturalmente accanto a questi progetti che possiamo definire “di marketing” ce ne sono anche di più utili. Un esempio è la Xylinum Mask di Elizabeth Bridges e Garrett Benisch (Sum Studio) che dimostra come sia possibile coltivare una maschera di cellulosa batterica nella propria cucina. Accanto a soluzioni più domestiche abbiamo anche nuovi prodotti interessanti come Narvalo, una mascherina protettiva FFP3 anti-smog e anti virus interamente prodotta in Italia, che dialoga con una app dedicata per monitorare la qualità dell’aria dell’ambiente.

Il coronagrifting e questa tendenza a ricercare il progetto da pubblicare su Instagram devono cambiare, sia per le aziende che per i professionisti. Il 2020 ci ha insegnato che è arrivato il momento di produrre in maniera più sostenibile, pensando non solo al prodotto ma a tutto quello che ne fa parte: materie prime, processi di produzione, riciclo e smaltimento. (Mercoledì parleremo di un nuovo progetto che risponde a queste necessità)

Un altro aspetto interessante dell’ultimo anno, che si lega alla sostenibilità e al bisogno di un nuovo modo di produrre, riguarda la ricerca di nuovi materiali per l’industria. Queste ricerche partono spesso da materie prime povere come gli scarti industriali o agricoli. Un esempio è il progetto SLAM! dello studio Henriksson&Lindgren che utilizza gli scarti solidi e liquidi della spremitura del sidro. La parte affascinante è che attraverso SLAM!, le due designer hanno sperimentato un processo potenzialmente utilizzabile da altre industrie che producono acque reflue e fanghi biologici, aprendo la strada alla produzione di bio-plastica da questi scarti.

Risulta evidente la necessità di intraprendere un dialogo tra designer, ricercatori e aziende. Per poter avere un vero cambiamento ognuno deve mettere a disposizione le proprie capacità per creare nuovi punti di vista e nuove soluzioni. Naturalmente qui giocano un ruolo fondamentale anche le istituzioni, le amministrazioni e i privati. SLAM! fa parte del progetto What Matter_s 2.0 voluto dal Form/Design Center di Malmö, in cui un gruppo di sei studi di design svedesi è stato associato ad aziende manifatturiere del luogo con il compito di sviluppare nuovi materiali sostenibili dai loro rifiuti industriali. I risultati sono esposti alla mostra Metabolic Processes for Leftovers, curata dal danese Kiosk Studio.

Questo ci porta all’ultimo argomento, gli eventi e le mostre. C’è bisogno di ripensare a come creare, presentarsi e intrattenere, ma bisogna farlo in maniera critica, pensando soprattutto al contesto in cui ci troviamo. La possibilità di progettare installazioni e interventi urbani durante eventi pubblici deve essere sfruttata per formare e sensibilizzare l’utente oltre che intrattenerlo. Questo potrebbe portare con il tempo a modificare i nostri costrutti mentali, creando una nuova idea di benessere attraverso una nuova tipologia di design.

Questi sono solo alcuni degli aspetti che volevamo condividere, nelle prossime settimane ne affronteremo altri.

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