Barbara Pollini, designer e ricercatrice, ha recentemente sviluppato una serie di sculture fatte a mano Designed wilderness: Minimum Viable Ecosystems nate come sperimentazione per esplorare il design bioricettivo attraverso l’artigianato, colonizzazioni lente e l’Art of Noticing (l’arte del notare). Un approccio che Barbara ha voluto definire slow biodesign.
Rispetto alla rapidità della stampa in plastica, i processi naturali come la crescita di funghi o la colonizzazione spontanea richiedono tempo. Questo introduce una mutevolezza continua e un rapporto più profondo con il cambiamento.
Partendo da questo concetto e dal suo progetto, approfondiamo insieme a lei l’idea di un design al servizio della biodiversità.
La bioricettività nei materiali
Al centro della ricerca c’è il concetto di bioricettività, definito come la capacità di un materiale di essere colonizzato da forme di vita (secondo la definizione di Guillitte del 1995). Questo tema emerge dalla sua tesi di dottorato, che parte da un interrogativo essenziale: quale ruolo hanno i materiali inerti nel sostenere la vita?
In tutta la storia della vita sulla Terra, c’è sempre una componente inerte che ospita le prime forme di vita, come microorganismi, microalghe, funghi o licheni. Questo mi ha portato a esplorare il ruolo cruciale dei materiali inerti nel sostenere la vita – racconta Barbara Pollini.
Parte della ricerca pratica si concretizza attraverso la collaborazione con la lichenologa Tania Contardo. L’obiettivo era creare superfici che avessero funzione di “nursery” per i licheni, organismi utilizzati per monitorare la qualità dell’aria. Siccome la loro crescita è molto lenta e il biomonitoraggio è legato a una quantità limitata di materiale, questo approccio innovativo voleva superare le limitazioni della raccolta in natura, offrendo un metodo non invasivo per coltivare licheni in ambienti controllati. Riguardo la collaborazione Barbara racconta:
Il designer e lo scienziato lavorano con approcci diversi: il designer sperimenta con molte variabili, mentre lo scienziato preferisce procedere con test più controllati. Questa collaborazione può velocizzare e arricchire entrambi i processi.
In un periodo di tempo limitato dalla consegna del Dottorato, circa un anno e mezzo, Pollini ha condotto diversi test che hanno portato alla sperimentazione di differenti texture, colori e porosità per massimizzare la colonizzazione spontanea e il trapianto di licheni. A causa della loro crescita lenta, è stata affiancata anche la sperimentazione sui muschi, più veloci nella loro propagazione.
La bioricettività, inizialmente discussa di più nell’ambito architettonico per le facciate e i rivestimenti degli edifici, è stata poi ampliata nell’articolo Bioreceptive Interfaces for Biophilic Urban Resilience (B. Pollini, T. Contardo, D. Paciotti, V. Rognoli. 2023) evidenziando come questo concetto possa essere applicato per progettare superfici e materiali che supportano attivamente la crescita di organismi, veri e propri ecosistemi creati per favorire la biodiversità.
Designed Wilderness: sculture come ecosistemi
Concluso il dottorato, Pollini ha portato avanti la ricerca in autonomia sperimentando con una serie di sculture: realizzate in ceramica, Designed wilderness: Minimum Viable Ecosystems. Queste opere sono pensate per favorire la colonizzazione spontanea da parte di organismi viventi, trasformandosi nel tempo in piccoli ecosistemi. Ogni pezzo diventa un esperimento, un invito a osservare il lento processo di interazione tra natura e artificiale.
Ho creato sculture con texture e porosità specifiche per favorire la colonizzazione spontanea di muschi, licheni e piccoli insetti, trasformandole in oggetti per stimolare la scoperta della natura.
L’esercizio incarna il concetto di Art of Noticing, a cui la ricercatrice spesso si dedica: l’osservazione lenta e attenta di un determinato ambiente, con abitudine, che spinge a riscoprire le dinamiche naturali che spesso sfuggono allo sguardo di chi è di passaggio.
Le sculture bioricettive si evolvono lentamente, seguendo i ritmi della natura, vengono colonizzate e trasformate, diventano catalizzatori per nuove forme di vita. Sono molto più che oggetti artistici: possiamo vederle come “spazi da abitare”, laboratori viventi che mostrano come il design possa contribuire alla coesistenza multispecie. In un’epoca in cui la perdita di biodiversità è una delle principali sfide globali, il progetto personale di Pollini offre spunti preziosi su come progettare per sostenere e valorizzare la vita in tutte le sue forme.
Le sculture bioricettive possono essere strumenti educativi, stimolando bambini e adulti a osservare e interagire con la biodiversità nel loro ambiente.
Questo approccio potrebbe avere applicazioni pratiche anche su larga scala: dai materiali per l’edilizia, come le facciate bioricettive, a oggetti di uso quotidiano che favoriscono la biodiversità urbana, le possibilità sono tantissime. Allo stesso tempo, l’aspetto relazionale e contemplativo delle sculture offre un invito a rallentare e a riconnettersi con la natura, anche in contesti domestici o urbani.
Per maggiori informazioni sul progetto visitate il sito Healing Materialities e seguite Barbara Pollini su Instagram!