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Con sede ad Amsterdam, Frolic è uno studio di innovazione e progettazione orientato alla sostenibilità e certificato come B Corp. “La sostenibilità è un fattore trainante in tutto ciò che facciamo. Dai progetti che intraprendiamo al modo in cui gestiamo la nostra attività, vogliamo creare una differenza positiva, un design alla volta” – racconta il team di Frolic studio.

Un esempio del loro approccio è il loro ultimo prodotto – o meglio gli ultimi 4 – One smart speaker, four circular tunes, quattro diversi smart speaker nati con lo stesso obbiettivo: mostrare tutto il potenziale di un prodotto tecnologico e allo stesso sostenibile.

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La domanda da cui ha origine il progetto è: c’è la possibilità di creare prodotti all’avanguardia che non danneggino il pianeta? Se da un lato è inevitabile l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, dall’altro è evidente che la modalità di produzione di questo settore – dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento in discarica – dev’essere rivisto.

Prendendo in esame i dati, Frolic studio racconta che la previsione delle vendite di smart speaker in tutto il mondo è di oltre 400 milioni di pezzi entro il 2025. Con così tanti dispositivi in produzione, possiamo progettarli per avere un impatto più sostenibile sul mondo? Come apparirebbero e come funzionerebbero?

Il progetto One smart speaker, four circular tunes di Frolic studio immagina un mondo in cui gli altoparlanti intelligenti sono progettati per un futuro migliore. Il risultato di questa sfida sono soluzioni audaci e innovative che rimodellano il modo in cui pensiamo al design del prodotto. Due modelli sono stati progettati tenendo in mente il concetto di riparazione e manutenzione: il primo smart speaker è personalizzabile, si evolve e si adatta alle esigenze dell’ascoltatore. La modularità dei componenti e la possibilità di riparazioni fai-da-te sono la chiave di lettura vincente.

Il secondo può essere sintetizzato con la frase: il prodotto più sostenibile è quello che non viene mai creato. Questo speaker è realizzato principalmente con fibre di carta stampate a compressione, un materiale abbondante, economico e riciclabile che richiede poca energia durante la produzione. A fine vita, un’etichetta rossa sul retro del prodotto rivela non solo gli elementi elettrici interni, ma anche le istruzioni che guidano l’utente attraverso i processi di smontaggio e smaltimento dell’altoparlante.

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Il terzo modello è stato progettato per la produzione: uno speaker che può essere restituito e facilmente rimodellato dal produttore. A fine vita i materiali vengono rigenerati, creando nuovi prodotti e riducendo la maggior parte dell’impatto complessivo.

L’ultimo concept è progettato per la longevità, pensando a un oggetto da tramandare alle generazioni successive. Materiali e hardware di alta qualità e, con l’arte del Kintsugi, lo speaker può essere riparato e custodito come un vero e proprio tesoro.

One smart speaker, four circular tunes è un progetto che Frolic studio ha sviluppato magistralmente: non solo ci sono quattro prodotti con quattro concept unici, ma il team è riuscito a mostrare una piccola parte dell’incredibile diversità che la sostenibilità offre sia per gli aspetti estetici sia funzionali del prodotto. Diverse strategie sostenibili hanno dato vita a design unici.

Per saperne di più sul metodo dello studio e vedere altri progetti visitate il sito di Frolic e seguiteli anche su Instagram!

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Fondata da Niklas Dahlström e Anders Solvarm, Naturvillan è l’azienda svedese che crea case che puntano al minimo impatto ambientale, attraverso materiali ecologici, involucri climatici protettivi, irrigazione automatica ed ecosistemi che restituiscono i nutrienti dalle acque reflue alle piante da giardino interne. L’azienda offre 4 diverse tipologie di abitazione: Maxi, Midi, Mini, e quella che sta attaulmente vendendo, Atri.

Atri è una casa a serra con una struttura ad A, climate-smart (climaticamente intelligente) con sistemi di riscaldamento, elettricità, acqua e recupero dei nutrienti completamente autonomi, fuori rete. Per permettere ciò, Naturvillan fornisce soluzioni e componenti altamente ingegnerizzati, sviluppati grazie ad anni di lavoro e di vita all’interno di case immerse nella natura. Situata sulle rive del lago Vänern, Atri offre un’ampia vista e un terreno naturale caratterizzato dalla roccia.

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Il linguaggio progettuale della villa si ispira al paesaggio e alla natura circostante. Gli interni sono caratterizzati dai materiali naturali, come legno e pietra, e la serra offre un ottimo schermo e giardino d’inverno.

La casa, all’interno della serra, è stata costruita per funzionare completamente off-grid: durante l’estate, le celle solari forniscono elettricità alla batteria che guida la casa e riscalda l’acqua calda. In inverno, una caldaia a legna con piano cottura e forno fornisce calore e acqua calda. L’unica accortezza è che il proprietario della casa tenga traccia di quanta energia c’è nelle batterie. Se necessario, c’è una centrale elettrica domestica di proprietà per ricaricare la batteria.

Nell’inverno più buio e freddo, a seconda anche dello stile di vita e dello stato della batteria, si stima che sarà necessario far funzionare la centrale per un paio d’ore a giorni alterni. In caso di assenza prolungata, l’azienda fornisce varie opzioni per evitare il peggio.

L’acqua potabile è fornita dal pozzo di proprietà e non comporta spese. Come dice l’azienda “Il ciclo è un sistema biotecnologico interno sviluppato in modo univoco, chiamato Ecocycle system Two +. Il principio è che i nutrienti e l’acqua nelle acque reflue vengono riciclati e purificati nelle aiuole della serra, dove macro e microbiota interagiscono con gli apparati radicali delle piante. L’alimentazione viene convertita quindi in frutta e verdura.”

Per acquistare la casa potete contattare ERA Real Estate Sweden, per scoprire di più su Atri e le altre soluzioni abitative di Naturvillan visitate il loro sito e seguiteli su Instagram!

Fotografia: Marcus Eliasson, ERA Hus & Hem

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Dalla scorsa settimana abbiamo iniziato a pubblicare una selezione dei migliori articoli di quest’anno. Dopo i nuovi materiali, oggi parliamo di progetti, studi ed iniziative che pongono un’attenzione particolare alla sostenibilità: laboratori di recupero materiale, mostre, prodotti al 100% sostenibili e molto altro. Per i più curiosi, i temi che tratteremo in seguito saranno: i migliori progetti innovativi, i migliori progetti per il sociale, le migliori interviste e gli articoli da non perdere. Ecco qui la selezione di oggi:

CHAIR 1:1 di Alessandro Stabile e Martinelli Venezia
La Chair 1:1 è una sedia montabile e smontabile, con la caratteristica che, durante la produzione, tutti i pezzi vengono stampati insieme, ottimizzando così la grandezza dello stampo e la velocità del processo, riducendo al minimo gli sprechi.

SOAPBOTTLE, fondato dalla designer tedesca Jonna Breitenhuber
SOAPBOTTLE trasforma il concetto di cosmetica senza imballaggio e permette alla confezione stessa di diventare parte del prodotto per il corpo. Mano a mano che il contenuto all’interno viene utilizzato, la confezione del sapone si dissolve in maniera graduale. Una volta terminato il liquido, la bottiglia vuota può essere riutilizzata come sapone per le mani.

Studio Tŷ Syml e i biomateriali 
Tŷ Syml agisce secondo i principi del Cradle to Cradle, in breve, l’idea di un sistema industriale che non guarda solo al profitto e all’efficienza ma anche agli ecosistemi e alla compatibilità ambientale. Lo studio usa materiali organici e risorse locali per creare prodotti ispirati ai sistemi biologici che non hanno un impatto negativo sull’ambiente.

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Le Terre di Domenico Orefice
L’approccio del designer si basa sulla riscoperta dei processi e delle lavorazioni locali che contamina con nuove tecnologie, con l’obbiettivo di creare oggetti contemporanei. Un esempio di questo metodo è la collezione Le Terre, che nasce dalla ricerca di materiali che da secoli connotano la cultura mediterranea.

OHMIE, The Orange Lamp™ di Krill Design
Con Ohmie the Orange Lamp™ abbiamo un chiaro esempio di come i rifiuti alimentari possono essere riutilizzati con successo in un prodotto di eco-design che sia allo stesso tempo “bello e funzionale”. Alla fine del suo ciclo di vita, la lampada può essere scomposta a mano in pezzi più piccoli prima di essere gettata via con i rifiuti organici domestici.

Spazio META, per allestimenti più sostenibili
META nasce per contrastare il processo di sovra-produzione di rifiuti, offrendo una soluzione sostenibile e alternativa al tradizionale ciclo di produzione, consumo e smaltimento di allestimenti espositivi. META recupera i materiali provenienti da saloni, sfilate, mostre ed eventi, li raccoglie, pulisce e prepara per la vendita al pubblico.

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ADI, Compasso d’Oro 2022, Sviluppo sostenibile e responsabile
Per la prima volta il premio più ambito del design sarà incentrato sul tema dello “Sviluppo sostenibile e responsabile”. La scelta non è solo frutto dello scenario attuale, ma è il risultato di un percorso iniziato quasi 35 anni fa.

SUPERLOCAL e il suo Production Hub 1, di Andrea de Chirico
SUPERLOCAL nasce come alternativa agli attuali metodi di produzione, ponendo un’attenzione particolare alla fattibilità sociale e ambientale dei processi produttivi. Nello specifico, il processo industriale viene rilocalizzato all’interno dell’infrastruttura urbana, come un nastro trasportare, creando nuove linee produttive locali. Una delle ultime fasi della ricerca, in continuo sviluppo, è la progettazione di un luogo fisico, il SUPERLOCAL Production Hub 1. Lo spazio nasce con la funzione di coordinare le filiere locali attivate nel quartiere

Mostra DEPLASTIC: azioni e buone pratiche contro l’abuso di plastica, Giacimenti Urbani Festival
Deplastic è una mostra molto interessante che fa il punto sulla situazione “plastica” in maniera semplice, precisa ed efficace. Da approfondimenti sulla produzione del materiale e il suo utilizzo migliore, fino alle nuove soluzioni sostenibili.

AQUASTOR di Zihao Fang, un progetto per fermare la desertificazione
Aquastor è in grado di fornire nutrimento, immagazzinare umidità e agevolare lo sviluppo di terreni più fertili. Non si tratta solo di un progetto interessante che affronta il problema simulando un comportamento naturale, ma si rivela un sostegno fondamentale per progetti di riforestazione su larga scala, in cui ad oggi non ci sono soluzioni sostenibili per l’approviggionamento di acqua e sostenze nutritive.

Clicca qui per vedere i 10 nuovi materiali pubblicati su WeVux nel 2021!
Cover image, ph. Sandro Trigila

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Questo articolo è stato scritto per Salone del Mobile.Milano e precedentemente pubblicato sulla piattaforma salonemilano.it

Architetto e giornalista, Giuliana Zoppis scrive di architettura, design, arredamento, con particolare attenzione ai temi del design circolare, della bio-architettura e della responsabilità sociale e ambientale del settore casa. Nel 2006 fonda con Clara Mantica Best UP, Circuito per la promozione dell’abitare sostenibile ed è attualmente la Coordinatrice della Commissione Sostenibilità di ADI (Adi Design Index/Compasso d’Oro). Zoppis lavora da più di vent’anni a tematiche che oggi sono al centro dell’attenzione, come ci ha mostrato anche il “supersalone”, dalla riduzione dell’impatto ambientale all’importanza di fare sistema. Una conversazione per capire come si sta comportando oggi il mondo del design e se sarà in grado di affrontare le nuove sfide dell’era post-Covid.

Com’è cambiato l’approccio del Design alla sostenibilità negli ultimi vent’anni?

È cambiato soprattutto il modo di fare sistema, di sentirsi parte di un processo globale per trovare e applicare nuovi paradigmi, sia come imprese, sia come istituzioni e associazioni, sia come utenti “consum-attori”. Questo cambiamento aiuta tutti a puntare alla sostanza delle cose. Userei due citazioni molto attuali. La prima è da una frase di Roland Barthes: “L’essenza di un oggetto ha qualcosa a che fare con il modo in cui si trasforma in spazzatura”. La seconda è tratta da un documento del UK Design Council: “Il design sostenibile implica l’uso strategico del design per soddisfare le necessità dell’uomo attuali e future senza danneggiare l’ambiente. Significa (ri)progettare prodotti, processi, servizi o sistemi per risolvere squilibri tra esigenze della società, dell’ambiente e dell’economia e per “tamponare” i danni già fatti”. Si tratta, dunque, di progettare e produrre senza generare più rifiuti e di puntare a generare oggetti, edifici, servizi che durino nel tempo, e che una volta dismessi possano trasformarsi in nuova materia utile. Il design sostenibile è uno strumento potente per collaborare al benessere delle persone. Oggi si parla di design per il sociale: una disciplina che definisce il grado di responsabilità sociale di imprese e professionisti. In sostanza, un’area di progetti d’iniziativa pubblica e privata per lo sviluppo di un’economia sostenibile per le comunità; progetti che mirano a modificare i comportamenti e le strategie per un maggiore coinvolgimento.

Come viene ribadito da molti, la pandemia sembra aver dato una spinta in più verso soluzioni ecosostenibili, dall’architettura alla ricerca di materiali per il design. Quali sono le sfide più importanti di oggi per aziende e designer?

La sfida più importante è fare la cosa giusta subito. L’attivista per la giustizia ambientale Greta Thunberg, in una sua recente intervista a una televisione italiana, è stata molto chiara: dobbiamo continuare a chiedere a tutti, governi e partiti e imprese, di impegnarsi senza indugi per la tutela del Pianeta. Ognuno secondo le sue competenze e possibilità. La produzione di oggetti e apparecchiature, la costruzione di edifici sono parte del quadro globale e sappiamo tutti, precisamente, con che percentuali di emissioni e danni per la biodiversità e la salute mondiale. La pandemia è solo uno degli effetti degli squilibri climatici e ambientali che riguarda tutti noi. La risonanza mediatica che ha avuto la crisi pandemica è dovuta alle urgenze economiche e finanziarie che hanno coinvolto i governi dei Paesi più ricchi in un’escalation di manovre e azioni di sostegno. Se ci si muovesse con questa portata decisionale e operativa anche per fermare lo spreco di risorse naturali e di materie prime, e per ridurre drasticamente i rifiuti, metà del lavoro sarebbe fatto.

Che ruolo ha l’Associazione per il Design Industriale (ADI) nel sostegno della sostenibilità nel design?

In quanto partner ufficiale del New European Bauhaus, che intende costruire una base di sperimentazione per la trasformazione aperta e inclusiva dell’Europa dalla produzione dei beni all’uso del territorio, ADI pone oggi al centro delle sue ricerche e azioni il ruolo fondamentale della cultura e dell’etica del design in stretta collaborazione con la scienza e l’innovazione tecnologica. Obiettivo comune diventa, dunque, produrre soluzioni avanzate e responsabili a livello ambientale e sociale, in ogni settore. Designer, architetti, ingegneri, scienziati, studenti e creativi sono chiamati da ADI a proporre progetti destinati a creare occasioni di trasformazione verso la sostenibilità, in un dialogo costante con cittadini, imprese e istituzioni.

Da quindici anni va avanti l’esperienza Best UP, associazione fondata nel 2016 insieme a Clara Mantica, che “promuove l’abitare sostenibile e svolge attività di sensibilizzazione e diffusione della cultura della sostenibilità”. Una vera e propria rete di professionisti e aziende. Che tipo di servizi offrite? Come operate?

Nei 15 anni di Best UP abbiamo sempre cercato spazi e modi per conciliare “il design per il Pianeta” con le buone pratiche portate avanti dalle imprese italiane e dalle realtà dei territori. Stimolandole e affiancandole in un miglioramento progressivo, step by step. L’associazione ha affrontato fin dall’inizio le tematiche dell’abitare sostenibile con questi presupposti, avendo ben presente ciò che di positivo le imprese del settore stanno già facendo (alcune senza valorizzarlo abbastanza): dalla concezione del progetto alla produzione, alla distribuzione, al consumo fino al recupero/riciclo o reinvenzione di beni e servizi. Sostenibilità sociale e ambientale sono i fondamenti delle nostre attività, ampiamente documentate nel sito. Ci siamo occupate anche di formazione nelle scuole e nelle imprese, di creazione di reti tra le filiere artigianali e industriali nelle varie regioni del Paese, della diffusione di mostre didattiche sui comportamenti in relazione al consumo.

È cambiato il vostro modo di lavorare a seguito della recente pandemia? C’è stata una richiesta maggiore di aiuto da parte di aziende e privati?

La promozione del design come strumento vitale di sviluppo sostenibile e agente di cambiamento ci sta portando su percorsi sempre più orientati alla responsabilità sociale e ci apre necessariamente ai temi dei diritti e della povertà. Questo, già ben prima della crisi pandemica. Avendo il polso della situazione, grazie alla nostra presenza attiva nei territori ben fuori dal polo lombardo, ogni socia si è data un impegno pratico nei campi più urgenti dell’abitare e vivere odierni: in questi ultimi anni, c’è chi si è dedicata ai bisogni primari delle fasce più fragili della società (quelle che si misurano con la sopravvivenza), chi ha scelto di portare il suo contributo ai movimenti internazionali contro la devastazione ecologica, chi ha allargato il campo di ricerca alla Social LCA (per evidenziare gli impatti del ciclo di vita di processi e prodotti negli assetti sociali), chi ha allargato la partecipazione sua e di Best UP a network mondiali come O2GN che riunisce eco-designer di decine di nazioni del globo, chi si è focalizzata sulla rigenerazione urbana attraverso la lente della produzione sostenibile di alimenti in edifici abbandonati. Progetti e attività che hanno in comune la volontà di partecipare al mondo superando pregiudizi e divisioni, consapevoli che ogni creatura e ogni manifestazione sul Pianeta sono interconnesse e interdipendenti.

Dal Manifesto dell‘associazione, del 2010, troviamo molti temi contemporanei, come l’importanza di fare sistema, il ciclo di vita dei prodotti per un impatto ambientale minore, il lavoro delle donne, le imprese del futuro… Un punto di vista lungimirante, proiettato in avanti. Vista l’attualità di questi punti, se dovessi riscrivere oggi il Manifesto di Best UP, quali temi di lavoro aggiungeresti?

Nel Manifesto c’è evidenziata la portata sistemica del nostro approccio, fin dagli inizi di Best UP (che sono in molti a riconoscere come pionieristici, nel settore dell’abitare). Basti citare il punto 9, dove a proposito delle imprese del futuro affermiamo (con le parole che Ezio Manzini usò in Triennale quando presentammo l’Associazione). “Sono quelle che generano positività. Soggetti che costruiscono quell’economia sostenibile che ha il suo punto di forza nel “capitale delle relazioni”. Senz’altro, dopo tanti anni, ci sono aspetti su cui andrebbe posto ancor più l’accento: a partire dalla circolarità dei processi produttivi (dall’estrazione delle materie prime e il reperimento delle “seconde” alla distribuzione, alla manutenzione e riparazione, al riuso). Sottolineando come niente, “dalla culla alla culla”, perde di valore. Un impegno maggiore andrebbe poi indirizzato all’impiego di energie rinnovabili: abbiamo capito che le risorse sul Pianeta non sono infinite e che serve attivarsi al più presto verso l’impiego di combustibili non fossili. Molte sono le alternative possibili nel mondo dell’abitare, a seconda della fascia climatica e di ciò che offre il territorio. Un altro punto cruciale su cui spendersi senza sosta è la riduzione drastica dei rifiuti, a monte. Serve un totale cambio di paradigma, che incida profondamente, una volta per tutte, nei comportamenti individuali.

Com’è stato invece questo “supersalone”? In vista degli appuntamenti di aprile 2022, secondo te sarà una ripartenza “green”?

Come molti colleghi della progettazione sostenibile e della comunicazione hanno espresso, penso che l’edizione 2021 del Salone del Mobile sia stata positiva, sia come evento fieristico misurato ai tempi e alle risorse disponibili dopo due anni di fermo e a pochi mesi dalla 60esima edizione, sia come formulazione di un messaggio polifonico, sintetico ed efficace del settore arredo alle sfide del presente. Un messaggio che è arrivato al mondo, e che ha suscitato dimostrazioni di solidarietà e apprezzamento anche dai più scettici. L’accoppiata vincente con le manifestazioni cittadine del Fuorisalone, che da oltre 20anni supportano la settimana del design, ha dimostrato quest’anno più che mai che solo da un impegno collettivo e da una dimensione più umana si può partire per provare a riformulare nuovi contesti e nuovi format. Quanto alla possibile “ripartenza green” della domanda, la mia risposta è che non può esserci altra soluzione della presa di responsabilità ambientale e sociale in ogni ambito della produzione e del consumo. Rimettersi in gioco con gli strumenti e le conoscenze dell’ecologia e della biologia abbinate, direi “fuse” alle pratiche del progetto, fa parte dell’essere nel presente e del dare un senso alle nostre iniziative e imprese in un momento di reinvenzione del mondo. Farlo mettendo al centro il benessere di natura e umanità, progettandolo e realizzandolo proprio sul corpo del reale, è una sfida affascinante che spetta a noi tutti.

Visita i progetti per scoprire di più!
Manifesto Best Up / The Natural Circle 2015 / Ciclo di Vita / O2Italia / Urban Farm Design

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Si chiamerà Urbee il futuro dell’automobile? Solo il tempo ce lo dirà. Nel frattempo possiamo solamente speculare e fantasticare.

Nata dall’ingegno di Jim Kor, un tuttologo dei sistemi di trasporto (automobili, autobus, trasporto ferroviario, piscine (?) e chi più ne ha più ne metta), Urbee2 è un veicolo che vanta dei dati decisamente interessanti, soprattutto dal punto di vista ambientale. Adotta un motore ibrido elettrico-gasolio, ha un peso di appena 544kg, ed è composta da appena 50 elementi (un’automobile mediamente è composta da circa 10000 componenti). L’aspetto probabilmente più interessante è infatti la possibilità di stampare tridimensionalmente la scocca esterna e vari altri componenti della vettura, con un sistema di montaggio decisamente semplificato. Tutto questo punta all’autoproduzione senza competenze specifiche nel campo della metallurgia. Ora, la sfida più grande per questo geniale personaggio, è il completamento della sua Urbee2 per l’attraversamento coast to coast degli Stati Uniti, ad una media di 111km/h e consumando solamente 37,85 litri di gasolio. Questa impresa darà certamente risonanza ad un progetto che merita certamente un’enorme pubblicità.

Ma gli aspetti ingegneristico e ambientali non sono certamente gli unici degni di nota: il disegno della vettura è infatti molto piacevole. Ricorda lontanamente la VW XL1, con linee morbide e avvolgenti, una spiccata aerodinamicità (solo 0.15 di coefficiente di resistenza aerodinamica!)  ed uno stile complessivo vagamente anni 90.

Mancano solamente 30000 dollari per il completamento del progetto su kickstarter. Dando una mano a Jim, sicuramente, darete una grande mano a tutti quanti, anche voi stessi, poiché visionari del genere porteranno certamente ad una mobilità più moderna e sostenibile.

Alla faccia di chi dice che usare l’energia che ci viene data dalla natura non basta per sostenerci.

Il Politecnico di Zurigo decide di dar vita a un progetto orientato verso il futuro.
In collaborazione con il Club alpino svizzero (CAS) progetta e realizza un rifugio di montagna innovativo, dotato di una tecnologia di altissimo livello e al contempo capace di integrarsi nel delicato ecosistema circostante.
La scelta della collocazione cade sulla regione del Monte Rosa, conosciuta per i ghiacciai del Grenz e del Gorner.
Nel settembre 2009, viene inaugurato l’edificio a 2883 metri d’altitudine.

Questo emozionante progetto abbina architettura all’avanguardia, alta tecnologia e sviluppo sostenibile.

La sua struttura è essenzialmente in legno, con fondamenta di acciaio e calcestruzzo ancorato nella roccia.
Il riflettente rivestimento esterno in alluminio, le ampie vetrate e la sua particolare forma poligonale, gli danno le sembianze di un edificio futuristico nonchè quelle di cristallo di montagna. Un design che si integra perfettamente con lo splendido paesaggio alpino circostante.

Un edificio di cinque piani, dotato di 120 posti letto e di un luminoso refettorio.

La cosa più interessante è la sua intelligentissima tecnologia verde.
L’edificio è in grado di produrre il 90% dell’energia necessaria nel pieno rispetto dell’ambiente grazie all’integrazioni di pannelli fotovoltaici nella facciata sud.
L’energia prodotta durante il giorno viene poi conservata in batteria per essere adoperata all’occorrenza.
Il 10% restante è fornito da una centrale termica alimentata con olio di colza e da un impianto di recupero dell’aria viziata, che permettono di far fronte ai periodi di maggiore consumo e al meteo sfavorevole.
Per quanto riguarda l’acqua, è stato studiato uno speciale sistema che ne prevede il raccoglimento in estate attraverso lo scioglimento della neve dei ghiacciai e successivamente immagazzinato in un grande serbatoio sotterraneo in modo da poterne disporre anche nei mesi invernali. Inoltre le acqua grigie (quelle usate in cucina o per fare la doccia) vengono filtrate e riciclate per gli sciacquoni dei servizi igienici.

Tutti gli impianti sono stati progettati nel rispetto dell’ambiente.
Oggi il rifugio, oltre ad essere una meta ricercata è anche un sofisticato sistema informatico che studia e raccoglie costantemente informazioni di diversa natura sul clima e sui parametri dell’edificio.

Materiali

Luffa Project, Riportare La Natura Nell’ambiente Domestico

Un aspetto molto interessante di autoproduzioni e piccole serie di oggetti e…

Interviste

Architecture

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Comunicazione

Architettura

Eventi

Il mondo del design è sempre più attento a proporre soluzioni in grado di ridurre l’impatto ambientale senza compromettere estetica e funzionalità. Dall’arredo agli interni, ci sono già molte idee e proposte che soddisfanno questa necessità: un esempio sono i nuovi materiali creati da scarti e risorse organiche. In questo articolo, esploreremo tre esempi di materiali sostenibili – presenti sulla Materials Design Map di WeVux – che hanno l’obiettivo di rivoluzionare il settore degli interni: Corcrete, Brokisglass e Ignorance is Bliss. (Immagine copertina Veja HQ, Corcrete, ph. Alan Tensey)

Corcrete, progettato dallo Studio Niruk (Germania), è un “cemento leggero per interni” che si distingue per le sue proprietà fonoassorbenti superiori rispetto al cemento tradizionale. Disponibile in tre varianti di colore, Corcrete ricorda esteticamente il terrazzo ed è impiegato sia come rivestimento murale sia come materiale per l’arredamento. Il materiale ha già ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per la sua innovazione e versatilità. Qui la storia completa.

I pannelli Brokisglass, prodotti nella Repubblica Ceca da Brokis, nascono dagli sfridi di vetro della produzione aziendale. Questo processo di riciclo del vetro scartato, che può arrivare fino al 30% del materiale utilizzato per la soffiatura del vetro, dà vita a pannelli unici con texture originali disponibili in 14 colori. I pannelli (70x70cm e 110×110), oltre a essere un esempio di economia circolare, sono completamente riciclabili, offrendo un’opzione sostenibile e originale per l’interior design.

Dopo anni di ricerca, Agne Kucerenkaite ha progettato Ignorance is Bliss: una collezione di piastrelle disponibili in 20 colori selezionati e prodotte senza l’uso di sostanze tossiche. Ogni piastrella racconta una storia di trasformazione, mostrando sul sito web l’origine dello scarto di metallo utilizzato per ottenere il colore. Le piastrelle sono disponibili in 5 formati: 10×10 cm, 13×13 cm, 15×15 cm, 6,5×13 cm, 7,5×15 cm – lo studio sviluppa anche design su richiesta. 

Tutti i materiali sono già stati applicati in progetti di interior/furniture design che ne dimostrano la funzionalità. Per scoprire altri materiali con un basso impatto ambientale visitate la Materials Design Map e seguite la pagina LinkedIn!

The world of design is increasingly focused on offering solutions that reduce environmental impact without compromising aesthetics and functionality. From furniture to interiors, there are already many ideas and proposals that meet this need. One example is the new materials created from waste and organic resource. In this article, we will explore three examples of sustainable materials – featured on WeVux’s Materials Design Map – that aim to revolutionize the interior sector: Corcrete, Brokisglass and Ignorance is Bliss. (Cover image Veja HQ, Corcrete, ph. Alan Tensey)

Corcrete, designed by Studio Niruk (Germany), is a “lightweight cement for interiors” distinguished by its superior sound-absorbing properties compared to traditional concrete. Available in three color variants, Corcrete aesthetically resembles terrazzo and is used both as wall cladding and furniture material. The material has already received numerous international awards for its innovation and versatility. Here is the full story.

Brokisglass panels, produced in the Czech Republic by Brokis, are made from the glass shards of the company’s production. This process of recycling discarded glass, which can amount to up to 30% of the material used for glassblowing, creates unique panels with original textures available in 14 colors. The panels (70×70 cm and 110×110 cm), in addition to being an example of a circular economy, are fully recyclable, offering a sustainable and original option for interior design.

After years of research, Agne Kucerenkaite designed Ignorance is Bliss: a collection of tiles available in 20 selected colors and produced without the use of toxic substances. Each tile tells a story of transformation, showcasing on the website the origin of the metal waste used to achieve the color. The tiles are available in 5 sizes: 10×10 cm, 13×13 cm, 15×15 cm, 6.5×13 cm, and 7.5×15 cm – the studio also develops custom designs upon request.

All the materials have already been applied in interior/furniture design projects that demonstrate their functionality. To discover more materials with low environmental impact, visit the Materials Design Map and follow the LinkedIn page!

Torniamo a parlare di packaging sostenibile con Raízes, sviluppato da Gabriel Sotrati Angelo, studente presso IED São Paulo. Il progetto nasce dal desiderio di esplorare il mondo dei biomateriali, del biodesign e del design rigenerativo e come critica a un sistema economico incentrato su un consumo dilagante e dannoso per l’ambiente.

“Dagli studi ai risultati iniziali, ci sono voluti circa cinque mesi di intensa ricerca e sperimentazione, utilizzando le risorse che avevo a casa. Per il progetto mi sono concentrato sull’area del Pantanal, Mato Grosso, in Brasile. Ho cercato ingredienti presenti nella flora locale, dai semi ai materiali organici, assicurandomi che il loro smaltimento in natura non danneggiasse quest’ultima, ma anzi la facesse fiorire.” ci racconta Gabriel Sotrati Angelo.

Con il desiderio di creare qualcosa di semplice e fatto a mano, dopo vari tentativi, il designer è riuscito a sviluppare un materiale compostabile a base di lattice naturale, annatto, semi e altre risorse naturali, con cui ha poi progettato Raízes.

La collezione Raízes è stata sviluppata per conservare i cosmetici nel modo più naturale possibile. Al termine della loro vita utile (circa 3 anni), i contenitori possono essere smaltiti in natura, dove la loro composizione e i semi inclusi nel materiale produrranno fertilizzante, favorendo la nascita di nuova vita nella foresta e il ripristino delle specie essenziali per il bioma per cui sono state progettate (approccio di design rigenerativo). Per la composizione del materiale Gabriel ha utilizzato anche gli oli essenziali affinché tutti possano avere un’esperienza olfattiva unica attraverso l’utilizzo del packaging.

Il materiale è stato selezionato tra i progetti universitari presenti nella Materials Design Map di WeVux. Per ulteriori informazioni, visitate la pagina del Biodesign Biomaterial Lab e di Gabriel Sotrati Angelo!

Ph. courtesy

Let’s talk again about sustainable packaging with Raízes, developed by Gabriel Sotrati Angelo, student at IED São Paulo. The project was born from the desire to explore the world of biomaterials, biodesign, and regenerative design, and as a critique of an economic system centered on rampant consumption and harmful to the environment.

“From studies to initial results, it took about five months of intense research and experimentation, using the resources I had at home. The project focused on a lodge in the Pantanal, Mato Grosso, Brazil. I looked for ingredients present in the local flora, from seeds to materials used in its composition, ensuring that disposal in nature would not harm it but instead make it flourish.” Gabriel Sotrato Angelo tells us.

With the desire to create something simple and handmade, after several attempts, the designer succeeded in developing a compostable material based on natural latex, annatto, seeds and other natural resources with which he then designed Raízes.

The Raízes set was developed to store cosmetic bars in the most natural way possible. At the end of their useful life (approximately 3 years), the bars can be discarded into nature, where their composition and the seeds included in the material will produce fertilizer – fostering new life in the forest and restoring species essential to the biome for which they were designed (regenerative design approach). Essential oils have been used so that everyone has a unique olfactory experience from the packaging.

The material was selected among the university projects featured in the Materials Design Map by WeVux. For more information, visit Biodesign Biomaterial Lab and Gabriel Sotrati Angelo‘s page!

Ph. Courtesy

Con CoFactory, Designtech ha voluto creare “un luogo di lavoro innovativo e un nuovo modello che catalizza l’innovazione tridimensionale, proiettando il design e la manifattura nel futuro, in un formato urbano, collaborativo e sostenibile”, afferma Ivan Tallarico, CEO e co-fondatore insieme a Patrizia VavassoriAlessandro de CillisDomenico Greco ed Emil Abirascid.

Lo spazio si trova nella periferia nord-ovest di Milano, in zona Certosa, ed è un progetto promosso da RealStep, la società di sviluppo immobiliare specializzata nella rigenerazione urbana sostenibile di siti ex industriali. Il design dell’hub è firmato dallo studio Pininfarina Architecture.

CoFactory è una vera e propria fabbrica urbana innovativa, aperta a imprese, startup, e designer, che risponde alla necessità di prototipazione 3D e di produzioni nativamente digitali e sostenibili. Un luogo dove è possibile fare affidamento sulle competenze dei partner ospitati e utilizzare le nuove tecnologie messe a disposizione.

Il progetto di CoFactory

Pininfarina Architecture ha riqualificato 1500 mq su due livelli cercando di ridurre la complessità delle operazioni sia nella fase di progettazione che nella fase di produzione e assemblaggio: nel concreto soppalco e partizioni sono stati assemblati in loco riducendo tempi di costruzione e scarti e alcuni pannelli sono stati lavorati grazie ai macchinari già presenti durante le fasi di cantiere. Gli interni sono caratterizzati da due zone: il laboratorio con macchine a controllo numerico e strumenti di prototipazione rapida; un’area con uffici, sale riunioni e aree di co-working e per la socialità.

L’accessibilità dei servizi

CoFactory non si pone solo l’obbiettivo di portare innovazione tridimensionale, tecnologie aggiornate e sostenibilità in città, ma vuole anche dare un contributo alla crescita sociale del quartiere grazie a Realstep e alle attività di riqualificazione e definizione di nuovi servizi che segue. Nel concreto, la società si occupa dell’organizzazione di una serie di iniziative per coinvolgere il vicinato, come durante il Fuorisalone 2023 e 2024 in cui rappresentanti dei cittadini e gli abitanti della zona hanno avuto modo di visitare gli spazi di CoFactory (ancora cantiere nel 2023) e comprendere meglio cosa accade all’interno.

Un’altra iniziativa importante è rivolta alle scuole, come ci racconta Patrizia Vavassori: “Al momento siamo in dialogo con diversi possibili partner – PoliHub e PoliDesign del Politecnico di Milano, NABA, IED, l’Artwood Academy, ma anche istituti tecnici locali e molte altre realtà – con l’obiettivo di attivare forme di collaborazione per la formazione: moduli formativi, workshop, creare una vera e propria learning factory e aiutare tutte quelle realtà che non hanno un laboratorio da utilizzare.”

Se questa attività è ancora in corso di sviluppo, c’è un’altra iniziativa da menzionare, dedicata sempre ai più giovani: CoFactory, infatti, offre anche la possibilità agli studenti di alcuni istituti di intraprendere tirocini nel team digital fabrication, come tecnici per la manifattura additiva o le tecnologie sottrattive. Un modo per aiutare i giovani a fare esperienza e conoscere le ultime tecnologie.

Per maggiori informazioni su CoFactory, gli spazi dedicati ai professionisti e le attività che vengono svolte, visitate il sito e seguite la pagina su instagram!

Ph. courtesy

With CoFactory, Designtech wanted to create “an innovative workplace and a new model that catalyses three-dimensional innovation, projecting design and manufacturing into the future, in an urban, collaborative and sustainable format,” says Ivan Tallarico, CEO and co-founder together with Patrizia Vavassori, Alessandro de Cillis, Domenico Greco and Emil Abirascid.

The space is located in the northwest suburbs of Milan, in the Certosa area, and is a project promoted by RealStep, the real estate development company specialising in the sustainable urban regeneration of former industrial sites. The design of the hub is by Pininfarina Architecture studio.

CoFactory is a true innovative urban factory, open to companies, start-ups, and designers, which responds to the need for 3D prototyping and natively digital and sustainable production. A place where it is possible to rely on the skills of hosted partners and use new technologies.

The CoFactory project

Pininfarina Architecture has redeveloped 1500 square metres on two levels, trying to reduce the complexity of operations both in the design and in the production and assembly phase: to give an example, the mezzanine and partitions were assembled on site, reducing construction time and waste, and some panels were processed thanks to the machinery already present during the construction phases. The interior is characterised by two areas: the workshop with CNC machines and rapid prototyping tools; an area with offices, meeting rooms and co-working and social spaces.

Accessibility of services

CoFactory not only aims to bring three-dimensional innovation, up-to-date technology and sustainability to the city, but also wants to contribute to the social growth of the neighbourhood thanks to Realstep and the redevelopment and definition of new services that it follows. In concrete terms, the company is responsible for organising a series of initiatives to involve the neighbourhood, such as during the Fuorisalone 2023 and 2024 in which representatives of citizens and residents of the area had the opportunity to visit the CoFactory spaces (still a construction site in 2023) and better understand its activities.

Another important initiative is aimed at schools, as Patrizia Vavassori tells us: “We are currently in dialogue with several possible partners – PoliHub and PoliDesign of the Politecnico di Milano, NABA, IED, the Artwood Academy, but also local technical institutes and many other realities – with the aim of activating forms of collaboration for training: educational modules, workshops, creating a real learning factory and helping all those realities that do not have a laboratory to use.”

While this activity is still under development, there is another initiative to mention, again dedicated to young people: CoFactory, in fact, also offers the possibility for students from certain institutes to undertake internships in the digital fabrication team, as technicians for additive manufacturing or subtractive technologies. A way to help young people gain experience and learn about the latest technologies.

For more information on CoFactory, the spaces dedicated to professionals and the activities that take place, visit the website and follow the page on instagram!

Ph. courtesy

Fondata nel 2021, PaperShell AB affronta la crisi climatica attraverso una gestione sostenibile delle risorse naturali. Il brand vuole “reingegnerizzare la carta e trasformarla in una versione più resistente del legno”: nello specifico, attraverso il nuovo materiale crea componenti B2B sostenibili, altamente tecnologici, duraturi e basati su ingredienti naturali presenti nel legno e nelle piante.

Un mese fa abbiamo parlato del materiale citando la sedia Catifa Carta, la nuova versione di Catifa 53, progettata nel 2001 da Lievore Altherr Molina per Arper. La seduta, presentata durante la Milano Design Week 2024, utilizza una nuova scocca in PaperShell. Alla fine del suo ciclo di vita, la seduta può essere sottoposta a pirolisi, un processo di combustione che avviene a bassa temperatura e impedisce il rilascio di CO2. Attraverso quest’ultimo, il materiale viene convertito in biochar, un tipo di carbone vegetale, composto da una percentuale di carbonio che può arrivare fino al 90%, che ha la capacità di trattenere efficacemente la CO2.

PaperShell offre la produzione di componenti B2B print-to-build, sostituendo plastica, fibra di vetro e alluminio: il materiale infatti è più resistente della plastica, versatile come la fibra di vetro e più leggero dell’alluminio. Tra i settori di utilizzo troviamo architettura, interior design, arredo, elettronica e automotive.

“PaperShell si propone di guidare e rendere possibile, per i propri clienti, la transizione verso una bioeconomia circolare, allineandosi ai quadri di sostenibilità globale (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), COP15, COP21, Planetary boundaries, ecc) e puntando a obiettivi di carbonio zero e oltre.” – racconta il brand.

Al momento, PaperShell ha collaborazioni con diversi rinomati marchi per lo sviluppo di componenti per nuovi prodotti e per quelli già esistenti. A Tibro, in Svezia, dispone di un centro di ricerca e sviluppo e di uno stabilimento di produzione dove realizza progetti di co-sviluppo e produzione in serie. Per scoprire di più sulla sostenibilità e l’impatto di questo materiale vi invitiamo a visitare il sito, ricco di informazioni e dati a cui tutti possono accedere liberamente.

Il brand è parte della nuova e gratuita Materials Design Map. Per saperne di più visitate il sito del brand e seguite PaperShell su InstagramFoto per gentile concessione del brand

Founded in 2021, PaperShell AB addresses the climate crisis through sustainable management of natural resources. The brand wants “to re-engineer kraft paper back into a more resistant version of wood”: specifically, through the new material it creates sustainable, high-tech, durable B2B components based on natural ingredients found in wood and plants.

A month ago we talked about the material by mentioning the Catifa Carta chair, the new version of Catifa 53, designed in 2001 by Lievore Altherr Molina for Arper. The chair, presented during the Milan Design Week 2024, uses a new shell made of PaperShell. At the end of its life cycle, the seat can be subjected to pyrolysis, a combustion process that takes place at low temperature and prevents the release of CO2. Through the latter, the material is converted into biochar, a type of vegetable charcoal, composed of up to 90 per cent carbon, which has the ability to effectively retain CO2.

PaperShell offers the production of B2B print-to-build components, replacing plastic, fibreglass and aluminium: the material is stronger than plastic, as versatile as fibreglass and lighter than aluminium. Areas of use include architecture, interior design, furniture, electronics and automotive.

“PaperShell aims to lead and for our clients enable the transition towards a Circular Bio Economy, aligning with global sustainability frameworks (Sustainable Development Goals (SDGs), COP15, COP21, Planetary Boundaries etc) aiming for carbon net-zero objectives and beyond” says the brand.

PaperShell has ongoing collaborations with multiple large and renowned brands developing components for new and existing products. In Tibro, Sweden, they have a research and development centre and a production facility where they carry out co-development and mass production projects. To find out more about the sustainability and impact of this material, please visit their website, where you can find information and data in transparency.

The brand is part of the new, free Materials Design Map. Learn more on the brand’s website and follow PaperShell on Instagram! Photos courtesy

Continuiamo a parlare dei nuovi materiali a base biologica introdotti recentemente all’interno della Materials Design Map di WeVux: Adam Sheet è una nuova soluzione in fogli ricavata dalla sansa (scarto solido che rimane dopo la spremitura) di mela di Aomori.

Con sede nella pianura di Tsugaru ad Aomori – una delle principali regioni produttrici di mele del Giappone. il Sozai Center raccoglie le mele scartate per creare nuovi prodotti grazie alla tecnologia di lavorazione unica e alle capacità di progettazione.

Nella produzione di Adam, non solo la polpa, ma anche il nocciolo, la buccia, il gambo e i semi della mela vengono utilizzati senza lasciare indietro alcuno scarto. Il suggestivo colore marrone-rossastro è creato dagli ingredienti naturali della mela, senza coloranti artificiali. La caratteristica principale di Adam è la “visualizzazione” dei materiali originali: la particolare texture è data proprio dallo scarto. La trasparenza e la consistenza del materiale sono studiati per aiutare l’utente a percepire la materia prima, la polpa stessa della mela.

Il Sozai Center sta lavorando per sviluppare sempre più collezioni di prodotti Adam al fine di promuovere l’industria locale delle mele nella prefettura di Aomori. Al momento, il materiale può già essere applicato per piccoli accessori, finiture e arredi per interni. Con uno spessore di 0,6 mm, è altamente resistente all’acqua e ai graffi. È inoltre di facile manutenzione, può essere pulito con acqua o con un detergente neutro, ed è conforme alla normativa RoHS2 dell’Unione Europea (UE).

Al momento potete trovare già in vendita nello shop online il porta carte e una borsina a tracolla creati con Adam. Per saperne di più visitate il sito del brand e seguitelo su InstagramImmagini per gentile concessione di Adam

WeVux continues the exploration of new bio-based materials recently introduced in our Materials Design Map: Adam Sheet is a new solution made from Aomori apple pomace.

Based in the Tsugaru plain in Aomori, one of Japan’s leading apple producing regions, the Sozai Centre collects discarded apples to create new products with its unique processing technology and design capabilities.

In the production of Adam, not only the flesh, but also the endocarp, skin, stem and seeds of the apple are used without leaving any waste behind. The striking reddish-brown colour is created by the natural ingredients of the apple, without any artificial colouring agents. Adam’s main characteristic is the ‘visualisation’ of the original materials: the special texture is created by the waste. The transparency and texture of the material are designed to help the user perceive the raw material, the flesh of the apple itself.

The Sozai Centre is working to develop more and more Adam product collections in order to promote the local apple industry in Aomori Prefecture. At the moment, the material can already be applied for small accessories, finishes and interior furnishings. With a thickness of 0.6 mm, it is highly resistant to water and scratches. It is also easy to maintain, can be cleaned with water or a neutral detergent, and complies with the European Union (EU) RoHS2 regulation.

You can currently find Adam card case and body pouch already on sale in the online shop. To find out more, visit the brand’s website and follow it on Instagram! Images courtesy of Adam

VANK è un’azienda polacca che ha come obiettivo la creazione di arredi e accessori nel rispetto della natura attraverso l’aiuto di tecnologie avanzate. Il brand crede in un modello di economia circolare che limita il consumo di risorse naturali, riduce la quantità di rifiuti prodotti e aumenta l’uso di materiali biodegradabili, rinnovabili e riciclabili.

Ogni progetto è pensato tenendo conto di mobilità, configurabilità e flessibilità dell’arredo e per ogni prodotto, afferma VANK, viene seguito il principio Cradle to Cradle. Il materiale naturale utilizzato per alcune collezioni di scrivanie, scaffalature, pannelli acustici, uffici e pareti mobili è il biocomposito VANK, basato su piante fibrose rinnovabili come il lino e la canapa.

Il materiale composito contribuisce allo sviluppo dell’economia circolare e ha un’impronta di carbonio negativa. Le risorse a base biologica, come il lino e la canapa, assorbono CO2 dall’atmosfera durante la fase di crescita e la convertono in biomassa attraverso la fotosintesi. La rapida crescita della canapa, che può raggiungere anche i 4 metri in 100 giorni, la rende uno dei più veloci assorbitori di CO2: un campo può assorbire fino a 15 tonnellate di CO2 per ettaro (secondo i rapporti dell’IPCC).

VANK punta sull’alta qualità dei componenti che utilizza per prolungare il ciclo di vita dei propri prodotti il più a lungo possibile. In quanto produttore europeo, l’azienda utilizza solo pezzi provenienti da fornitori locali. In più, il brand offre ai clienti una serie di servizi come la riparazione dei mobili, della tappezzeria e la pulizia anche dopo il periodo di garanzia.
VANK è anche un esempio di buone pratiche per quello che riguarda la parità dei sessi: la maggior parte dei dirigenti sono donne. Anche il consiglio di amministrazione dell’azienda è composto al 100% da donne.

Il brand ha esposto durante il Fuorisalone 2024 presso il distretto di Isola ed è parte della nuova e gratuita Materials Design Map. Il brand propone una vasta selezione di prodotti: cabine insonorizzate, soluzioni fonoassorbenti, sedute, divani, pouf, panchine, scrivanie e arredi contenitori per uffici e attività commerciali. Per saperne di più visitate il sito del brand e seguite VANK su Instagram! Immagini per gentile concessione di VANK

VANK is a Polish company that aims to create furniture and accessories that respect nature with the help of the latest technologies. The brand believes in a circular economy model that limits the consumption of natural resources, reduces the amount of waste generated and increases the use of biodegradable, renewable and recyclable materials.

Each project is designed with mobility, configurability and furniture flexibility in mind and for each product, VANK says, the Cradle to Cradle principle is followed. The natural material used for some collections of desks, shelving, acoustic panels, offices and mobile walls is VANK biocomposite, based on renewable fibrous plants such as flax and hemp.

The biomaterial contributes to the development of the circular economy and has a negative carbon footprint. Bio-based resources – such as flax and hemp – absorb CO2 from the atmosphere during their growth phase and convert it into biomass through photosynthesis. The quick growth of hemp, i.e. up to even 4 metres in 100 days, makes it one of the fastest CO2 absorbers out there. A hemp field can absorb up to 15 tonnes of CO2 per hectare (according to IPCC reports).

VANK relies on the high quality of the components it uses to extend the life cycle of its products for as long as possible. As a European manufacturer, the company only uses parts from local suppliers. In addition, the brand offers its clients a range of services such as furniture repairs, reupholstery, and cleaning also after the warranty period.
VANK is also an example of good practice with regard to gender equality: most of the managers are women. Even the company’s board of directors is made up of 100% women.

The brand offers a wide selection of products: acoustic pods, acoustic panels and walls, seating, sofas, poufs, benches, desks and storage furniture for offices and businesses. The brand exhibited during the Fuorisalone 2024 at the Isola district and is part of the new and free Materials Design Map. To find out more visit the brand’s website and follow VANK on Instagram! Images courtesy of VANK

When we deal with sustainability, there are so many aspects to take into consideration, for example, did you know that every year around 10,000 tons of dyes are produced all over the world? Specifically, if we look at inks and coatings, the European Printing Ink Association states that every year in Europe about 1 million tons of materials are consumed by printers of all types of products, at a cost of 3 billion euros (source Eupia). Most commercial printing inks contain harmful chemicals, refined petroleum and heavy metals which are harmful to our health and the environment. We had already introduced some designers who deal with colors and pigments, such as Jesse Adler and Charlotte Werth. Among them is also Greta Facchinato, multidisciplinary artist and designer who has been running her studio in The Hague since 2018, whose research deals with color: specifically, with how to re-learn and disseminate knowledge about its production through raw natural materials and new sustainable inks, with particular attention to printing techniques. (Cover Color is Alive, photo Studio Greta Facchinato)

The designer tells us: “The idea was born from the interest in introducing an ecological and regenerative approach into my practice – which includes collaboration with plants and microorganisms – in order to share a new design narrative. Working with illustration and printing techniques, I had the desire to understand and know what the alternative, organic and local solutions to synthetic ink were.”

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“In 2021 I had the opportunity to research how to make organic ink for screen printing thanks to the support of Grafische Werkplaats Den Haag (Graphic Workshop The Hague) and Gemeente Den Haag (Municipality of The Hague). – continues the designer – The project was shared under the title Color is Alive, in the form of an independent publication and a collection of silk-screen prints made with natural inks obtained from plants and waste materials. Since then my idea of color has completely changed, from something abstract and inanimate to living matter.”

The Color is Alive publication – printed in Risograph – contains recipes for obtaining natural ink from plants, food waste and urban finds. It is also a collection of reflections and valuable lessons that Greta Facchinato has learned along the way by researching archives, reading, printing and talking to different experts. For Color is Alive, the designer has developed natural handmade inks and also organic inks for screen printing – such as the Avocado Ink or the Charcoal, also present in the new and free Materials Design Map.

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Her studies on the theme continues with The Ink Project – Between craft and technology. Through the project, the designer positions her research between the tradition of producing ink with organic materials and its application for inkjet printing. The aim of the project is to raise awareness and investigate ways to create green solutions in the field of digital printing.

A fundamental part of this research is also the spreading of knowledge, not only in the form of publications and prints but also through an educational method: actual seasonal workshops. Greta tells us: “My workshops invite an experimental and intuitive approach to creativity, learning from our ecosystems. Participants are guided to learn about color as a living matter through the creation of sustainable inks, together with plants and organic materials. Fundamental is the notion of interconnection with the surrounding local environment. Together with the technical aspects, I share awareness of how to forage in a safe and respectful way for us and our environment – i.e. how to recognize local plants, how to harvest them and how to work with the seasons and the territory.”

Naturally this is only a part of Greta’s work who, as a designer, is engaged on several fronts: in fact, on her website it is also possible to find projects such as aesthetic prostheses created with biodegradable material obtained from agar-agar (seaweed), digital graphics, publications, but also videos and research for the world of design, all linked by the common thread of an ecological approach. For more information on her method and her work, visit Greta Facchinato‘s website and follow her on Instagram! Photo courtesy Studio Greta Facchinato, unless stated otherwise

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Nel momento in cui viene trattato il tema della sostenibilità sono tantissimi gli aspetti da prendere in considerazione, per esempio, lo sapete che ogni anno vengono prodotte circa 10.000 tonnellate di coloranti in tutto il mondo? Nello specifico, se guardiamo inchiostri e rivestimenti, la European Printing Ink Association afferma che in Europa vengono consumati dagli stampatori di tutti i tipi di prodotti circa 1 milione di tonnellate di materiali, per un costo di 3 miliardi di euro (fonte Eupia). La maggior parte degli inchiostri da stampa in commercio contiene sostanze chimiche nocive, petrolio raffinato e metalli pesanti che sono dannosi per la nostra salute e per l’ambiente. Avevamo già presentato alcuni designer che si occupano di colori e pigmenti, come Jesse Adler e Charlotte Werth. Tra di loro c’è anche Greta Facchinato, artista e designer multidisciplinare che dal 2018 gestisce il suo studio a L’Aia, la cui ricerca si occupa di colore: nello specifico, di come riprendere e diffondere le conoscenze sulla sua produzione attraverso materie prime naturali e nuovi inchiostri sostenibili, con particolare attenzione alle tecniche di stampa. (Immagine copertina Color is Alive, foto di Studio Greta Facchinato)

La designer ci racconta: “L’idea nasce dall’interesse ad introdurre nella mia pratica un approccio ecologico e rigenerativo – in cui viene inclusa la collaborazione con piante e microrganismi – in modo da condividere una nuova narrativa progettuale. Lavorando con illustrazione e tecniche di stampa, avevo il desiderio di capire e conoscere quali fossero le soluzioni alternative, organiche e locali all’inchiostro sintetico.”

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“Nel 2021 ho avuto l’opportunità di ricercare come realizzare inchiostro organico per la serigrafia grazie al supporto di Grafische Werkplaats Den Haag (Workshop di Grafica dell’Aia) e Gemeente Den Haag (Comune dell’Aia). – continua la designer – Il progetto è stato condiviso con il titolo Color is Alive, nella forma di una pubblicazione indipendente ed una collezione di stampe serigrafiche realizzate con inchiostri naturali ottenuti da piante e materiali di scarto. Da allora la mia idea di colore è completamente cambiata, da qualcosa di astratto e inanimato a materia vivente.”

La pubblicazione Color is Alive – stampata in Risograph – contiene ricette per ricavare inchiostro naturale da piante, scarti alimentari e reperti urbani. È anche una raccolta di riflessioni e lezioni preziose che Greta Facchinato ha appreso lungo la strada ricercando in archivi, leggendo, stampando e parlando con diversi esperti. Per Color is Alive la designer ha sviluppato inchiostri naturali fatti a mano e anche inchiostri organici per la serigrafia – come quello di Avocado (Avocado Ink) o di carbone (Charcoal Ink), presenti anche nella nuova e gratuita Materials Design Map.

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Lo studio sul tema continua con The Ink Project – Between craft and technology. Attraverso il progetto, la designer posiziona la sua ricerca tra la tradizione di produrre inchiostro con materiali organici e la sua applicazione per la stampa a getto d’inchiostro. L’intento del progetto è quello di stimolare la consapevolezza e indagare metodi per creare soluzioni ecologiche nel campo della stampa digitale.

Parte fondamentale di questa ricerca è anche la divulgazione, non solo sotto forma di pubblicazioni e stampe ma anche attraverso un metodo educativo: veri e propri laboratori stagionali. Greta ci racconta: “I miei workshops invitano ad un approccio sperimentale ed intuitivo alla creatività, imparando dai nostri ecosistemi. I partecipanti sono guidati a conoscere il colore come materia vivente attraverso la creazione di inchiostri sostenibili, insieme a piante e materiali organici. Fondamentale è la nozione dell’interconnessione con l’ambiente locale circostante. Assieme agli aspetti tecnici condivido consapevolezza su come praticare il foraggiamento in modo sicuro e rispettoso per noi e il nostro ambiente – ovvero come riconoscere piante locali, come raccoglierle e come lavorare con le stagioni ed il territorio.”

Naturalmente questa è solo una parte del lavoro di Greta che, come designer, è impegnata su più fronti: sul suo sito è infatti possibile trovare anche progetti come protesi estetiche create con materiale biodegradabile ottenuto da agar-agar (alga marina), grafiche digitali, pubblicazioni, ma anche video e ricerche per il mondo del design, tutte legate dal fil rouge di un approccio ecologico.

Per maggiori informazioni sul suo metodo e sui suoi lavori visitate il sito di Greta Facchinato e seguitela su Instagram! Foto per gentile concessione di Studio Greta Facchinato, se non diversamente specificato

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Vérabuccia ® was born from the idea of the designer and entrepreneur Francesca Nori, an intuition had in 2017, following the observation of some waste vegetable peels including that of pineapple, a by-product that originates from consumption and generates disposal problems for industries and the environment.

The annual production of pineapple for the food industry is estimated at around 30 million tons of which only 30% is used. The remaining 70%, including peels, is waste (Fresh Plaza 2022). Italy is the fourth-largest importer in Europe with a vast and growing processing of fresh-cut and fifth-range products. Furthermore, climate change is modifying our (Italian) agriculture, opening up to the cultivation of tropical fruits (e.g. pineapples) in areas such as the Amalfi Coast and Sicily. Added to this factor is the growing unsustainability of the fashion industry which has led more and more Maison to notice the interest of consumers in new materials and products of plant origin, which guarantee, in addition to respect for the environment, the indispensable aesthetic component.

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Inventiveness and desire to experiment led Francesca to create the first collection of accessories, “Fruit Leather”, which paraded in 2017 in Alta Roma among the talents selected by the Academy of Costume & Fashion. Supported by her family, after graduation she invested her savings to give concrete voice to the project; at the end of 2017 she validated the idea together with an Italian chemical company, she reached the first results of the material (AnanasseTM) and an innovative production process. In 2018 she filed the patent, which was then extended to an international PCT. While the designer followed the validation of further processing techniques to diversify the texture of the material, with the help of Fabrizio Moiani the first production machines were born. This is how Vérabuccia ® started, in 2020.

AnanasseTM, the first material of Vérabuccia ®. Starting from the enhancement of one of the pineapple fruit waste and imagining a new economy, the first result is called AnanasseTM. A new material alternative, intended for high-end brands (fashion & design) and comparable in terms of tactile sensation and performance to the animal skin of a reptile, but which unlike traditional material has better social, ethical and environmental costs. AnanasseTM is flexible, soft, robust and can be pierced, sewn and colored in various shades.

The recovery of the peel, even before it becomes waste to be disposed of, avoids the production of greenhouse gases generated by the fermentation process. On the other hand, the ability to work on the enhancement of the entire natural element (the peel) avoids the introduction of substrates of other substances such as PVC or PU. The duo is working to achieve the goal of being able to enter today’s circular economy as well as being able to introduce Vérabuccia ® to the fashion and design sector and later introduce additional materials of the same typology as AnanasseTM.

Visit Vérabuccia ® to stay up to date and follow them on Instagram!

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Do you want to see your project featured on WeVux? Feel free to send us an email at [email protected] to know more, or visit our About page

Vérabuccia ® nasce dall’idea della designer ed imprenditrice Francesca Nori, un’intuizione avuta nel 2017 in seguito all’osservazione di alcune bucce vegetali di scarto tra cui quella del frutto dell’ananas, sottoprodotto che si origina dal consumo e dalla lavorazione nelle industrie di trasformazione della frutta, generando problematiche di smaltimento per le industrie e per l’ambiente.

La produzione annuale dell’ananas per l’industria alimentare (e delle bevande) è stimata in 30 milioni di tonnellate di cui solo il 30% circa è adatta al consumo umano, il restante 70%, tra cui la buccia, sono scarti (Fresh Plaza 2022). L’Italia è il quarto importatore in volume di ananas in Europa con una vasta e crescente lavorazione di prodotti di IV e V gamma, cioè prodotti ortofrutticoli freschi che, dopo la raccolta, vengono sottoposti a processi tecnologici per garantirne sicurezza e igienicità. Inoltre, il cambiamento climatico sta modificando la nostra agricoltura, aprendo alla coltivazioni di frutti tropicali, come l’ananas, in zone come la Costiera Amalfitana e la Sicilia. A questo fattore si aggiunge la crescente insostenibilità del settore moda che ha portato sempre più Maison a notare l’interesse dei consumatori verso nuovi materiali e prodotti di origine vegetale, che garantiscano oltre al rispetto per l’ambiente l’irrinunciabile componente estetica.

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L’inventiva e voglia di sperimentare portano Francesca a realizzare la prima collezione di accessori, “Fruit Leather”, che sfila nel 2017 ad Alta Roma tra i talenti selezionati dall’Accademia di Costume & Moda. Supportata dalla famiglia, dopo la laurea investe i suoi risparmi per dare voce concreta al progetto; a fine 2017 valida l’idea insieme ad un’azienda chimica Italiana, arriva ai primi risultati del materiale (AnanasseTM) e ad un processo di produzione innovativo. Nel 2018 deposita il brevetto, esteso poi in PCT internazionale. Mentre la designer segue la validazione di ulteriori tecniche di lavorazione che permettono di diversificare la texture del materiale, con l’aiuto di Fabrizio Moiani nascono i primi macchinari per poterlo produrre. Nasce così nel 2020 Vérabuccia ®.

AnanasseTM, il primo materiale di Vérabuccia ®. Partendo dalla valorizzazione di uno dei rifiuti del frutto dell’ananas e immaginando una nuova economia, il primo risultato si chiama AnanasseTM. Un’alternativa materica nuova, destinata a brand di fascia alta (moda & design) e paragonabile per sensazione tattile e di performance alla pelle animale di un rettile, ma che a differenza del materiale tradizionale ha migliori costi sociali, etici ed ambientali. AnanasseTM è flessibile, morbido, robusto può essere forato, cucito e colorato in varie tonalità

Il recupero della buccia, prima ancora che diventi rifiuto da smaltire, evita la produzione di gas serra generati dal processo di fermentazione e si contraddistingue dagli altri per la capacità di lavorare sulla valorizzazione dell’intero elemento naturale, evitando l’introduzione di sub-starti di altre sostanze come PVC o PU. Il duo è al lavoro sia per raggiunge l’obbiettivo di riuscire ad entrare nell’economia circolare di oggi sia per introdurre Vérabuccia ® nel settore della moda e del design e, in seguito, poter sperimentare ulteriori materiali della stessa tipologia di AnanasseTM.

Per maggiori informazioni visitate il sito di Vérabuccia ® e seguiteli su Instagram!

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Based in Amsterdam, Frolic is a sustainability-oriented innovation and design firm certified as a B Corp. “Sustainability is a driving factor in everything we do. From the projects we undertake to the way we run our business, we want to create a positive difference, one design at a time” – the studio says.

An example of their approach is their latest product – or rather the last 4 – One smart speaker, four circular tunes, 4 different smart speakers born with the same goal: to show the full potential of a product that is technological and at the same time sustainable.

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The question from which the project originated is: is there a possibility of creating cutting-edge products that do not harm the planet? While innovation and technological development is inevitable, it is clear that the way this industry is produced-from extraction of raw materials to waste disposal in landfills-must be reviewed.

Taking a look at the data, Frolic Studio says that the forecast for smart speaker sales worldwide is more than 400 million units by 2025. With so many devices in production, can we design them to have a more sustainable impact on the world? What would they look like and how would they work?

Frolic studio’s One smart speaker, four circular tunes project envisions a world in which smart speakers are designed for a better future. The results of this challenge are bold and innovative solutions that reshape the way we think about product design. Two models were designed with the concept of repair and maintenance in mind: the first smart speaker is customizable, evolving and adapting to the needs of the listener. The modularity of components and the possibility of do-it-yourself repairs are the key turning points.

The second can be summarized with the phrase: the most sustainable product is the one that is never created. This speaker is made primarily from compression-printed paper fibers, an abundant, inexpensive, and recyclable material that requires little energy during production. At the end of its lifecycle, a red label on the back of the product reveals not only the internal electrical elements, but also instructions that guide the user through the speaker’s disassembly and disposal processes.

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The third model is designed for production: a speaker that can be returned and easily remodeled by the manufacturer. At the end of its lifecycle, the materials are remanufactured, creating new products and reducing most of the overall impact.

The latest concept is designed for longevity, thinking about it as an object to be handed down to the next generation. High-quality materials and hardware, and with the art of Kintsugi, the speaker can be repaired and treasured.

One smart speaker, four circular tunes is a project that Frolic studio has masterfully developed: not only are there 4 products with 4 unique concepts, but the team has managed to show a small part of the incredible diversity that sustainability offers in both the aesthetic and functional aspects of the product. Different sustainable strategies resulted in unique designs.

To learn more about the studio’s method and see other projects visit Frolic’s website and follow them on instagram!

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As many already know, the fashion industry is one of the most polluting in the world, specifically producing about 10% of all global CO2 emissions, as this United Nations report explains. In order to make this industry circular, however, there are many factors to take into account: from the use of water for garment production (1kg of cotton for a pair of jeans is created with about 10000 liters of water, which is the amount a person drinks in 10 years), to the – in the past limited to one collection per season – fast fashion culture that can now reach the production of 50 different collections in a year.

The European Union is trying to run for cover and suggests that by 2030 there should be mandatory minimum quantities for the use of recycled fibers in textiles. The main problem with recycling, however, is its complexity: in addition to involving manual operations such as separating buttons and zippers from garments, there is not enough machinery to recycle and reuse fibers from discarded clothes. In addition to this, the industry needs to improve its technologies to ensure the production of high-quality recycled fibers – otherwise it is just downcycling and not recycling, because the resulting material is of lower quality and functionality than the original material.

For the past few years, the design world has been striving to find different ways to create sustainable and environmentally friendly fashion: from new fabrics derived from algae, such as Algiknit, to the use of new fibers, such as Musa Intimates, which sells products created with yarns extracted from banana plant. With the FI (Fungal Integrated) project, instead, designer Helena Elston set out to create a new type of recycled clothing made from mycelium and textile waste, with the aim of exploring the beauty in waste materials.

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The FI collection is made up of various garments created using a combination of local waste products, including discarded textiles, coffee sacks and mycelium. These pieces range from a seamless dress and a navy trouser suit to chunky heeled boots and a rugged jacket made from earthy-hued patches of hessian stitched together.

Elston appliques these surplus fabrics using a mycelium growth process that lasts for roughly six weeks, which produces wearable pieces that are designed to biodegrade once the wearer has finished with them. The growing process takes place in containers in which the designer introduces at a specific humidity, darkness and temperature nutrients and mycelium among the recycled garments – the process is in its patent stage so details cannot be revealed. Once the garments are removed from this environment in Elston’s studio in North Acton, they dry out and stop growing, after which they can be worn. The designer’s goal is to reduce waste in the fashion industry by creating garments that can “fully decompose” at the end of their life, instead of ending up in landfills.

Although the garments created by Elston are not yet in production and the project is still in a research phase, the designer explained that they could be composted in household waste or buried in a backyard garden due to the “extensive and magical toolkit” within soil that aids in the decomposition of material through mycelium. The designer estimates that natural textiles could fully decompose in a period of 2 to 6 months.

The possibilities are plenty, because mycelium is able to decompose many human wastes and byproducts. Although Elston’s pieces are currently made from discarded fabrics, the designer is also experimenting with a combination of synthetic and natural materials to make new garments and to use mycelium as an alternative sewing tool to combine pieces of fabric together.

Helena is not the only designer engaged in redefining the life cycle of garments, another example comes from the research of Laura Muth, engaged in creating shoes with an expiration date, or Nicholas Rapagnani with the Growing Sneakers concept, i.e. the idea of producing sneakers by cultivating mycelium following the shapes of the components of the final product.

For more information about the Fungal Integrated project visit Helena Elston’s website and follow her on Instagram!
Photo courtesy of Helena Elston

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Come molti già sanno, l’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo, nello specifico produce circa il 10% di tutte le emissioni globali di CO2, come spiega questo rapporto delle Nazioni Unite. Per poter rendere questo settore circolare però ci sono molti fattori da tenere da conto: dall’utilizzo di acqua per la produzione dei capi (1kg di cotone per un paio di jeans viene creato con circa 10000 litri di acqua, cioè la quantità che una persona beve in 10 anni), fino alla cultura fast fashion che – se prima eravamo abituati a una collezione a stagione – può arrivare alla produzione di 50 diverse collezioni in un anno.

L’Unione Europea sta cercando di correre ai ripari e suggerisce che nel 2030 ci dovranno essere quantità minime obbligatorie per l’utilizzo di fibre riciclate nel settore tessile. Il problema principale del riciclo però è la sua complessità: oltre a prevedere operazioni manuali come la separazione di bottoni e cerniere dagli indumenti, non ci sono abbastanza macchinari che permettono di riciclare e riutilizzare le fibre dei vestiti scartati. Oltre a questo, il settore deve migliorare le proprie tecnologie per garantire la produzione di fibre riciclate di alta qualità – altrimenti si tratta di downcycle e non riciclo, perché il materiale risultante è di qualità e funzionalità inferiori rispetto al materiale originale.

Da qualche anno il mondo del design si sta adoperando a trovare diverse soluzioni per creare una moda sostenibile e a basso impatto ambientale: dai nuovi tessuti derivati dalle alghe, come Algiknit, fino all’utilizzo di nuove fibre, come Musa Intimates, che vende prodotti creati con filati estratti dalla pianta del banano. Con il progetto FI (Fungal Integrated) invece, la designer Helena Elston si è dedicata alla creazione di una nuova tipologia di abbigliamento riciclato, a base di micelio e rifiuti tessili, con il fine di esplorare la bellezza dei materiali di scarto.

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La collezione FI è composta da vari indumenti creati utilizzando una combinazione di prodotti di scarto locali, tra cui tessuti scartati e sacchi di caffè, insieme al micelio. I capi spaziano da un vestito senza cuciture a un tailleur blu scuro, da un paio di stivali con tacco a una giacca di iuta realizzata con toppe color terra cucite insieme.

Elston lavora con gli scarti di tessuto utilizzando un processo di crescita del micelio che dura circa sei settimane e che produce pezzi indossabili progettati per biodegradarsi a fine vita. Il processo di coltivazione avviene in contenitori in cui la designer introduce a una specifica umidità, oscurità e temperatura sostanze nutritive e micelio tra i capi riciclati – il processo è in fase di brevettazione e non possono esserne rivelati i dettagli. Una volta che i capi vengono rimossi da questo ambiente, si asciugano, smettono di crescere e possono essere indossati. L’obbiettivo della designer è ridurre gli sprechi dell’industria della moda creando dei capi che possano “decomporsi completamente” a fine vita, anziché finire in discarica.

Sebbene i capi creati da Elston non siano ancora in produzione e il progetto sia ancora in una fase di ricerca, la designer ha spiegato che potrebbero essere compostati nei rifiuti domestici o seppelliti in un giardino sul retro con il “vasto e magico kit di strumenti” all’interno del suolo che aiuta la decomposizione del materiale grazie al micelio. La designer stima che i tessuti naturali potrebbero decomporsi completamente in un periodo che va dai 2 ai 6 mesi.

Le potenzialità sono moltissime perché il micelio è in grado di decomporre molti rifiuti umani e sottoprodotti. Nonostante al momento i pezzi di Elston siano realizzati con tessuti scartati, la designer sta anche sperimentando una combinazione di materiali sintetici e naturali per realizzare nuovi capi e per utilizzare il micelio come strumento di cucito alternativo per unire pezzi di tessuto.

Helena non è l’unica designer impegnata nella ridefinizione del ciclo di vita dei capi, un altro esempio arriva dalla ricerca di Laura Muth, impegnata nella creazione di scarpe con una data di scadenza, oppure Nicholas Rapagnani con il concept Growing Sneakers, cioè l’idea di produrre delle scarpe da ginnastica coltivando il micelio seguendo le forme dei componenti del prodotto finale.

Per maggiori informazioni sul progetto Fungal Integrated visitate il sito di Helena Elston e seguitela su Instagram!
Foto, Helena Elston

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For millennia, men and women have used natural pigments – extracted from plants, fungi, minerals or animals – to dye textiles. Until, in 1856, English chemist William Henry Perkin patented the world’s first synthetic dye, a violet pigment called “aniline purple” or mauvein. This invention paved the way for the dye industry as we know it today. In fact, much of the clothing or makeup on the market is dyed with petrochemical derivatives – direct descendants of the pigment synthesized by Perkin – which are very harmful to our health and the environment, responsible for 3 percent of the global carbon emissions and 20 percent of the water pollution for which the textile industry is responsible.

However – as Phil Patterson, consultant and director of Colour Connection, argues – returning to natural dyes is no longer a sustainable option: in addition to being expensive and requiring large quantities of raw materials, organic dyes rely on a supply chain that risks, in the long run, compromising our planet’s natural resources – particularly plant-based where the pigment is extracted from plants, and mineral-based in the case of dyes such as ochre or cobalt blue. According to Patterson, the solution would thus be found at the intersection of natural and synthetic, a hybrid space where nature’s patterns lend themselves to human implementation.

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Developing sustainable pigments, obtained from renewable processes, is the joint challenge to which designers, researchers and companies are devoting themselves, combining biotechnology and design with results that promise to change forever the way we dye our garments and beyond. Designer and biomolecular scientist Jesse Adler has identified fungi as the ideal resource to further this mission. Her project Alchemical Mycology, presented at the latest edition of Dutch Design Week, explores the potential of these creatures in reducing or eliminating our dependence on dyes from nonrenewable resources. “Collaborating” with the mycelium world – of which she considers herself an “alchemist” – Adler has developed a line of make-up products in which the dyes are extracted from fungi, lichens, yeasts and molds, in addition to tinting eyeshadows and lipsticks in shades ranging from light blue to red to ochre, reveal characteristics worthy of the best skincare products: from antioxidant properties to UV protection.

Adler, a graduate of Central Saint Martins in London with a master’s degree in Material Futures, is already thinking of future developments in her color extraction method that could represent a breakthrough going far beyond the makeup world.

“My goal is to extract the organism from nature once, and then cultivate and reproduce it in the lab so that the ecosystem can function normally without any interference from me” the designer explains about her research, which is constantly evolving. Last September, Adler began a five-month residency at the Jan van Eyck Academie in Maastricht, in collaboration with Central Saint Martins, to research other applications of these pigments.

Among the Jan van Eyck Academie’s initiatives is the Future Materials Bank project, an open source index of hundreds of new bio-based and sustainable materials. Within the platform, there is no shortage of projects proposing alternatives to industrial dyes: from Color Amazonia, which aims to safeguard natural pigments and dyeing methods typical of the Amazonian land, to projects such as If a Tree Falls or Bark Pigment, which exploit bark as dye, and finally to systems for dyeing textiles from bacteria.

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With Moving Pigments, designer Charlotte Werth – also a Central Saint Martins with an MA in Material Futures graduate – proposes an automated and scalable system for producing textile pigments from cultures of live bacteria, achieving a delicate, and not always predictable, tie-dye effect.

In 2018, Werth built a microbiological laboratory to experiment with these organisms in the production of textile dyes. The result is a device similar to a traditional loom, where the fabric, sterilized before and after the dyeing process, goes through four dye baths, that is, a liquid substance already inoculated with bacteria. “These microorganisms need oxygen to grow and produce pigments. “Feeding” the fabric through these dye baths creates lines and shades of color: thus the bacteria grow directly on the fabric, creating unique patterns and designs.”

“The coloring process can be strictly guided, but not completely controlled, which means that small irregularities occur in the design process” Werth explains, describing a sort of collaboration with microorganisms that take an active part in the design process. A co-design that embraces the unpredictable and imperfect in nature by opening up new scenarios in textile design and introducing new aesthetic values that challenge the standards of uniformity demanded by the mass market.

Werth is not the only one who has sought in bacteria an alternative to polluting chemical dyes. There are also those who, like Britain’s Colorifix, have made a business out of “sustainable color science.” Leveraging the principles of synthetic biology, Colorifix produces natural pigments in the laboratory by “growing” them through on-site fermentation of bacterial colonies in a process that researchers liken to brewing beer. By genetically (but ethically) modifying organisms, Colorifix develops palettes inspired by nature’s colors through a system that is replicable and, therefore, sustainable. “The first step is to find a color created by an organism in nature, be it an animal, plant, insect or microbe. Through online DNA sequencing (therefore never done on a physical specimen) we identify the exact genes that lead to pigment production and translate the DNA code into our microorganism. The resulting engineered microorganism is able to produce the pigment just as it is produced in nature.”

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Per millenni, uomini e donne hanno impiegato pigmenti naturali – estratti da vegetali, funghi, minerali o animali – per tingere i tessuti. Finché, nel 1856, il chimico inglese William Henry Perkin non brevettò la prima tintura sintetica al mondo, un colorante violaceo chiamato “porpora di anilina” o mauveina. Questa invenzione aprì la strada all’industria dei coloranti come la conosciamo oggi. Infatti gran parte dell’abbigliamento o del makeup sul mercato viene tinto con derivati petrolchimici – diretti discendenti del pigmento sintetizzato da Perkin – molto dannosi per la salute e per l’ambiente, responsabili del 3% delle emissioni globali di carbonio e del 20% dell’inquinamento delle acque di cui è responsabile l’industria tessile.

Tuttavia – come sostiene Phil Patterson, consulente e direttore di Colour Connection – tornare alle tinture naturali non è più un’opzione sostenibile. Oltre ad essere costosi e richiedere grandi quantità di materia prima, i coloranti organici fanno affidamento su una filiera che rischia, a lungo termine, di compromettere le risorse naturali del nostro pianeta – in particolare vegetali, quando il pigmento è estratto da piante, minerarie nel caso di coloranti come l’ocra o il blu cobalto. Secondo Patterson, la soluzione si troverebbe quindi nell’intersezione tra naturale e sintetico, uno spazio ibrido dove gli schemi della natura si prestano all’implementazione umana.

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Lo sviluppo di pigmenti sostenibili, ottenuti da processi rinnovabili, è la sfida congiunta a cui si stanno dedicando designer, ricercatori e aziende, combinando biotecnologie e design con risultati che promettono di cambiare per sempre il modo in cui tingiamo i nostri capi e non solo. La designer e biomolecular scientist Jesse Adler ha individuato nei funghi la risorsa ideale per portare avanti questa missione. Il suo progetto Alchemical Mycology, presentato all’ultima edizione di Dutch Design Week, esplora le potenzialità di questi organismi nel ridurre o eliminare la nostra dipendenza dai coloranti provenienti da risorse non rinnovabili. “Collaborando” con il mondo del micelio – di cui si considera “alchimista” – Adler ha sviluppato una linea di prodotti make-up in cui le sostanze coloranti estratte da funghi, licheni, lieviti e muffe, oltre a tingere ombretti e rossetti con nuances che vanno dall’azzurro, al rosso, all’ocra, rivelano caratteristiche degne dei migliori prodotti skincare: dalle proprietà antiossidanti fino alla protezione dai raggi UV.

Adler, laureata al Central Saint Martins di Londra con un master in Material Futures, pensa già agli sviluppi futuri del suo metodo di estrazione del colore che potrebbe rappresentare una svolta andando ben oltre il mondo del makeup.

“Il mio obiettivo è quello di estrarre l’organismo dalla natura una sola volta, per poi coltivarlo e riprodurlo in laboratorio, in modo che l’ecosistema possa funzionare normalmente senza alcuna interferenza da parte mia”, spiega la designer a proposito della sua ricerca, che è in continua evoluzione. Lo scorso settembre Adler ha iniziato una residenza di cinque mesi presso la Jan van Eyck Academie di Maastricht, in collaborazione con Central Saint Martins, per ricercare altre applicazioni di questi pigmenti.

Tra le iniziative della Jan van Eyck Academie c’è il progetto Future Materials Bank, un indice open source che raccoglie centinaia di nuovi materiali bio-based e sostenibili. All’interno della piattaforma, i progetti che propongono alternative a coloranti industriali non mancano: da Color Amazonia, che mira a salvaguardare pigmenti e metodi di tintura naturali tipici del territorio amazzonico, a progetti come If a Tree Falls o Bark Pigment, che sfruttano la corteccia come colorante fino ad arrivare a sistemi per la colorazione di tessuti a partire dai batteri.

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Con Moving Pigments, la designer Charlotte Werth – anche lei uscita dal Central Saint Martins con un MA in Material Futures – propone un sistema automatizzato e scalabile per produrre pigmenti tessili da colture di batteri vivi, ottenendo un delicato, non sempre prevedibile, effetto tie-dye. 

Nel 2018, Werth ha costruito un laboratorio microbiologico per sperimentare con questi organismi nella produzione di coloranti tessili. Il risultato è un dispositivo simile a un tradizionale telaio, dove la stoffa, sterilizzata prima e dopo il processo di colorazione, passa attraverso quattro bagni di tintura, ovvero una sostanza liquida già inoculata con i batteri. “Questi microrganismi hanno bisogno di ossigeno per crescere e produrre pigmenti. ‘Nutrendo’ il tessuto attraverso questi bagni di tintura, si creano linee e sfumature di colore: così i batteri crescono direttamente sul tessuto, creando pattern e disegni unici.”

“Il processo di colorazione può essere guidato in modo molto rigoroso, ma non controllato completamente, il che significa che si verificano piccole irregolarità nel processo di progettazione” spiega Werth, descrivendo una sorta di collaborazione con i microrganismi che hanno parte attiva nel processo progettuale. Un co-design che abbraccia l’imprevedibile e l’imperfetto della natura aprendo nuovi scenari nel design dei tessuti e introducendo nuovi valori estetici che mettono in discussione gli standard di uniformità richiesti dal mercato di massa. 

Werth non è l’unica ad aver ricercato nei batteri un’alternativa agli inquinanti coloranti chimici. C’è anche chi, come l’inglese Colorifix, della “scienza del colore sostenibile” ha fatto un’azienda. Sfruttando i principi della biologia sintetica, Colorifix produce pigmenti naturali in laboratorio “coltivandoli” attraverso la fermentazione in loco di colonie batteriche in un processo che i ricercatori paragonano alla produzione di birra. Con la modificazione genetica (ma etica) degli organismi, Colorifix sviluppa palette ispirate ai colori della natura attraverso un sistema replicabile e perciò sostenibile: “Il primo passo consiste nel trovare un colore creato da un organismo in natura, sia esso un animale, una pianta, un insetto o un microbo. Attraverso il sequenziamento del DNA online (mai un esemplare fisico) individuiamo i geni esatti che portano alla produzione del pigmento e traduciamo il codice del DNA nel nostro microrganismo. Il microrganismo ingegnerizzato che ne risulta è in grado di produrre il pigmento proprio come viene prodotto in natura”.

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Most of us, are used to having good drinking water always available, we just need to open the tap at home. However, this has led us to forget the origin, the life cycle and the value of this natural resource. Even for the Italian Constitution, everyone has the right for sufficient, safe, acceptable, physically accessible and affordable water for personal consumption and domestic uses.

Venice Tap Water is an idea by Marco Capovilla that takes shape in the summer of 2019. The project continues the commitment of Venezia Pulita, a Facebook group founded by Capovilla, to create awareness and encourage citizens and tourists to minimize their environmental impact. The main goal is to reduce the use of bottled water in Venice, be it plastic or glass.

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Here, tourists (about 30 million per year) are not well informed about free drinking water. On the contrary, many citizens are skeptical about the quality of water. As Capovilla points out, this is also caused by the fact that we are constantly targeted by advertisements related to bottled water and its properties. However, where is the communication for the promotion and safeguarding of this public resource?

Every day, tens of cubic meters of packaged water enter Venice, moreover, strategic public spaces such as piers have vending machines for half-liter bottles. If the local public administration install drinking fountains, it will send a strong message and will be seen as a sustainable action, a statement.

The environmental cost of packaged water isn’t limited to the volume of plastic waste to be recycled, which, in any case, must be transported and processed; added to this is the production of bottled water (energy and materials) and the transportation to the final destination.

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Venice Tap Water‘s goal is to eliminate the problem at its root. Most plastics can be recycled only one or two times before they need to be downcycled, with the result of a material with a lower value than waste and with higher costs than the first production. To sum it up, with downcycle you spend more to create a lower quality material, perhaps not the best solution.

Marco Capovilla’s project is very simple: he collected official information and data, made them available on a website, from which is also possible to download two leaflets and consult the map of the 126 fountains of Venice (plus 60 more on the surrounding islands). As a result, many participating accommodations, from hotels to B&Bs, confirm that they have actually noticed a significant drop in the amount of plastic bottles, compared to before the introduction of the aforementioned flyers.

As anticipated, Venice Tap Water is a simple but extremely efficient idea. Living more sustainably can be difficult if we don’t know the opportunities we have. Sometimes, we don’t need to create demanding and expensive solutions, but to collect existing data and communicate them in a clear and simple way. An example that all cities should follow.

Visit Venice Tap Water and follow the project on Instagram to find out more and consult the map!
Cover by Ricardo Gomez Angel 

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La maggior parte di noi è abituata ad avere acqua potabile buona sempre a disposizione, basta aprire il rubinetto di casa. Questa abitudine però ci ha portato a dimenticare l’origine, il ciclo di vita e il valore di questa risorsa naturale, la cui conservazione e fruizione, anche per la Costituzione Italiana, non può essere di pochi, per pochi.

Venice Tap Water è un’idea di Marco Capovilla che prende forma nell’estate del 2019. Il progetto prosegue l’impegno di Venezia Pulita, gruppo Facebook fondato da Capovilla, di aiutare i veneziani e i turisti a distriscarsi nelle questioni ambientali, creando consapevolezza – e possibilmente qualche buona abitudine. L’obiettivo principale di Venice Tap Water è di ridurre l’impatto che ha l’acqua in bottiglia, sia essa in plastica o in vetro.

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Il progetto nasce perché i visitatori di Venezia (30 milioni circa all’anno) non sono minimamente informati sulla potabilità (e bontà) dell’acqua pubblica di rubinetti e fontane. Al contrario, molti cittadini sono scettici su questi punti e, come evidenzia anche Capovilla, questo è provocato anche dal fatto che siamo costantemente bersagliati dalle pubblicità legate all’acqua in bottiglia e alle sue proprietà, ma dov’è la comunicazione per la promozione e salvaguardia della risorsa pubblica?

Oggi come oggi, ogni giorno, a Venezia entrano decine di metri cubi di acqua confezionata e spazi pubblici strategici, come gli imbarcaderi, presentano distributori automatici di bottiglie da mezzo litro. Se l’amministrazione pubblica locale installasse delle fontanelle, manderebbe un messaggio forte e sarebbe vista come un’azione sostenibile, uno statement.

Il costo ambientale dell’acqua confezionata non si limita al volume di rifiuti in plastica da riciclare, che sono comunque da trasportare e processare; a questo si aggiunge la produzione dell’acqua in bottiglia (energia e materiali) e il trasporto alla destinazione finale. 

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L’obiettivo di Venice Tap Water è eliminare il problema alla fonte e non riciclare, perché spesso non è solo riciclo, ma può essere anche downcycle: se lavoro meccanicamente le bottigliette in plastica produrrò un materiale con un valore minore rispetto lo scarto e con dei costi maggiori rispetto la prima produzione. In poche parole, con questa tipologia di riciclo spendo di più per creare un materiale di qualità inferiore rispetto lo scarto, forse non la soluzione migliore.

Il progetto di Marco Capovilla è molto semplice: sono state raccolte informazioni e dati ufficiali che sono state poi inserite in un sito, da cui è possibile scaricare due volantini e consultare la mappa delle 126 fontanelle di Venezia (più 60 nelle isole intorno). Il risultato è che molte strutture ricettive che hanno aderito, dagli hotel ai B&B, confermano che effettivamente hanno notato un calo importante della quantità di bottiglie di plastica usate rispetto a prima dell’introduzione del volantino.

Come anticipato, Venice Tap Water è un’idea semplice, ma estremamente efficace. Molto spesso non ci rendiamo conto che mancano delle informazioni fondamentali alle persone per vivere in maniera più sostenibile. A volte non serve creare soluzioni impegnative e costose, ma raccogliere i dati già esistenti e comunicarli in maniera chiara e semplice. Un esempio che tutte le città dovrebbero seguire.

Per saperne di più e consultare la mappa visitate Venice Tap Water e seguite il progetto su Instagram!
Cover by Ricardo Gomez Angel 

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Founded in 2010 by Ondřej Chybík and Michal KrištofCHYBIK + KRISTOF is an architecture and urban design practice, whose projects aim to bridge the gap between private and public space, taking into account local culture and environmental specificities. Their intervention for Manifesto Market is an example of this approach – Manifesto is a hospitality brand with a focus on transforming neglected urban areas into vibrant neighborhoods.

After the two locations of Smíchov and Florenc, in Prague, for its third, Manifesto chose to regenerate a gap located in the corner of an urban quarter in Andel, a district of the Czech capital. The site, well connected to the highly populated residential area, lies in the heart of the shopping, business, and entertainment of Andel district. This urban infill activated an underutilized gap in the urban tissue, becoming a new meeting spot. Chybik + Kristof designed two of the Manifesto locations.

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The form draws from courtyard typology, specific to Prague‘s urban fabric, and completes the existing building line, creating a public space between the market and the streets. Each of the courtyards is characterized by unique components such as furnishings, lighting and vegetation as well as experiences and activities available to visitors and the local community. The active front facades have an immediate impact on the surrounding environment, creating a wow effect and inviting passers-by to enter.

Manifesto Andel is a good example of temporary architecture, in which reuse is fundamental for the very concept of the project. Modular units designed by Chybik + Kristof for the needs of the former Manifesto Market in Smíchov were reused for Andel’s temporary space. As were the building components, units clad with corrugated aluminum sheets, lighting and furniture. Moreover, the market operates the whole year and is powered by clean energy from renewable sources.

Check out the other locations on Manifesto Market and learn more about Chybik + Kristof studio and their projects on their website and on Instagram!

Photography by Studio Flusser, unless stated otherwise

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Fondato nel 2010 da Ondřej Chybík e Michal Krištof, CHYBIK + KRISTOF è uno studio di architettura e progettazione urbana, i cui progetti vogliono colmare il divario tra spazio privato e pubblico, tenendo conto del contesto. L’intervento per Manifesto Market è un esempio di questo approccio – il brand, legato all’ospitalità, ha lo scopo di trasformare aree urbane trascurate in “quartieri vivaci”.

Dopo le prime tappe nelle zone di Smíchov e Florenc, a Praga, per la sua terza location, Manifesto ha scelto di rigenerare un varco situato all’angolo del quartiere di Andel, sempre nella capitale ceca. Il sito, ben collegato alla zona residenziale densamente popolata, si trova nel cuore dell’area dello shopping, degli affari e dell’intrattenimento di Andel. Questo progetto vuole attivare un vuoto presente nel tessuto urbano, cercando di diventare un nuovo punto di incontro per la comunità. Lo studio Chybik + Kristof ha contribuito al design di due delle location di Manifesto.

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La forma si ispira alla tipologia del cortile, specifica del tessuto urbano della città, mentre il modulo completa l’isolato esistente, creando uno spazio pubblico tra il mercato e le strade. Ciascuna delle aree interne è progettata in maniera originale, con arredi, illuminazione e vegetazione sempre diversi così come le esperienze e attività a disposizione dei visitatori e della comunità locale. Le facciate frontali hanno un impatto immediato sull’ambiente circostante, creando un effetto wow e invitando i passanti ad entrare.

Manifesto Andel è un buon esempio di temporary design, in cui il riutilizzo è fondamentale per il concept stesso del progetto. Le unità modulari progettate da Chybik + Kristof per le esigenze dell’ex Market di Smíchov sono state riutilizzate per lo spazio temporaneo di Andel, così come le componenti dell’edificio, le unità rivestite con lastre di alluminio ondulato, l’illuminazione e i mobili. In più, il mercato è attivo tutto l’anno ed è alimentato da energia pulita, che proviene da fonti rinnovabili.

Sul sito Manifesto Market potrete scoprire le altre location, mentre per conoscere gli altri progetti dello studio Chybik + Kristof visitate il sito e seguiteli su Instagram!

Crediti foto Studio Flusser, salvo diversa indicazione

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Founded by Niklas Dahlström and Anders Solvarm, Naturvillan is the Swedish company that creates homes that aim for minimal environmental footprint, ecological materials, protective climate shells, automatic irrigation and ecocycle-systems giving back nutrients from wastewater to the in-house garden plants. The company offers 4 different types of homes: Maxi, Midi, Mini, and the one on sale, Atri.

Atri is a climate-smart A-frame greenhouse villa with its own system for heating, electricity, water and nutrient recovery completely off-grid. To allow this, Naturvillan provides highly engineered solutions and components, which have been developed by years of working and living in nature houses. Located on the shores of Lake Vänern, Atri offers a wide view and a natural plot characterized by rock slabs.

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The design language of the villa is inspired by the surrounding landscape and nature. The interiors are characterized by natural materials, such as wood and stone, and the greenhouse offers an excellent screen and winter garden.

The house, inside the greenhouse, has been built to be operated completely off-grid. During summer, the solar cells provide electricity to the battery that drives the house and heats hot water. In winter, a wood-burning boiler with hob and oven provides heat and hot water. The only precaution is that the owner of the house keeps track of how much energy is left in the batteries. If necessary, there is a proprietary domestic power plant to recharge the battery.

In the darkest winter, depending on lifestyle and the house’s current battery park, it’s estimated that there will be a need to run the power plant for a couple of hours every other day. In the case of longer absences in cold winter, there are various options to prevent the temperature in the house from falling below the freezing point.

Drinking water is provided by the well on the property, and does not involve expenses. As the company says, “The cycle is a uniquely developed in-house biotechnological system, Ecocycle system Two+. The principle is that nutrients and water in the wastewater are recycled and purified in the greenhouse’s plant beds, where macro and microbiota interact with the plants’ root systems. The nutrition is converted into fruit and vegetables…”

To buy the house you can contact ERA Real Estate Sweden, to find out more about Atri and other Naturvillan housing solutions Naturvillan housing solutions visit their website and follow them on Instagram!

Photography by Marcus Eliasson, ERA Hus & Hem

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The recent graduate of the Master Material Futures at Central Saint Martins in London, Mireille Steinhage has created the Solar Blanket, part of the People Power project, which aims to make renewable energy products more accessible and affordable.

The project aims to support people to keep warm by alleviating some of the strains of soaring energy
prices.
The UK Parliament reported that in 2020 that 14.5 million people lived in relative poverty
after housing costs in the country.

The proposed product, the Solar Blanket, is a heated blanket powered by the sun: it uses solar energy to generate electricity. The “solar blanket” saves energy by directing the heat towards the user, and avoiding waste of energy to heat an entire space.

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The solar panel, which works in most weather conditions, is designed to be placed in front of a window. It can be used to charge a portable power bank which then can be used to power the blanket, along with other objects in the home. Portability gives the blanket the advantage of not being location bound, and the ability to expand its use.

The blanket is made from polyester striped with a conductive yarn, to generate heat. The thread is covered with another polyester ribbon to prevent it from coming into contact with itself when folded. At this moment of the research, the designer has developed three prototypes, each with a low voltage of between 5 and 12 volts. The 12-volt blanket heats up to around 30 degrees Celsius and runs for two hours on a full charge.

Mireille aspires to extend the People Power line with other economic products. As the blanket won’t be used much in the summer and the solar panel could be sitting unused, the next product could be a table lamp or a fan.

For more information visit Mireille Steinhage‘s website and follow her on Instagram!
Ph. Maël Hénaff

Here you will find other projects dedicated to solar energy, such as Sunne by Marjan Van Aubel or the Portable Solar Distiller, winner of the Lexus Design Award 2021.

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Neolaureata del Master Material Futures presso la Central Saint Martins di Londra, Mireille Steinhage ha creato la Solar Blanket, parte del progetto People Power, che ha l’obiettivo di rendere più accessibile l’energia rinnovabile.

Il progetto nasce per aiutare le persone a riscaldarsi, alleviando alcune delle tensioni dovute all’aumento dei prezzi dell’energia. Il parlamento del Regno Unito ha riferito che nel 2020 14,5 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà relativa, al netto dei costi abitativi nel paese.

Il prodotto proposto, la Solar Blanket, è una coperta riscaldata, alimentata dal sole: utilizza l’energia solare per generare elettricità. La “coperta solare” consente di risparmiare energia dirigendo il calore verso l’utente, ed evitando sprechi di energia per riscaldare un intero spazio.

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Il pannello solare, che funziona nella maggior parte delle condizioni atmosferiche, è progettato per essere posizionato davanti a una finestra. Può essere utilizzato per caricare un power bank portatile che poi può essere utilizzato per alimentare la coperta, insieme ad altri oggetti in casa. La portabilità offre alla coperta il vantaggio di non essere vincolata alla posizione e la possibilità di ampliarne l’uso.

La coperta è realizzata in poliestere incrociato con un filato conduttivo, per generare calore. Il filo è ricoperto da un altro nastro di poliestere per evitare che entri in contatto con sé stesso una volta piegato. Al momento la designer ha sviluppato tre prototipi, ciascuno con una bassa tensione compresa tra 5 e 12 volt. La coperta da 12 volt si riscalda a circa 30 gradi Celsius e funziona per due ore con una carica completa.

Mireille aspira ad estendere la linea People Power con altri prodotti economici. Visto che la coperta non verrà utilizzata molto in estate e il pannello solare potrebbe essere inutilizzato, il prossimo potrebbe essere una lampada da tavolo o un ventilatore.

Per maggiori informazioni visitate il sito di Mireille Steinhage e seguitela su Instagram!
Ph. Maël Hénaff

Qui troverete altri progetti dedicati all’energia solare, come Sunne di Marjan Van Aubel o il Portable Solar Distiller, vincitore del Lexus Design Award 2021.

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Designed by the Tokyo-based studio Nori Architects, Minimum House is located in Toyota City, Aichi Prefecture. The house, for a young couple and their two children, is located on a long and narrow site that runs from east to west. On the west side there is a heavy traffic, while to the north and south the buildings are adjacent to one other.

The volume was developed as a compact box, with one side of 3.6 m and 13.6 m deep, on two floors, for a total area of about 100 square meters. The structure is divided into three levels. A large window on the southeast wall of the living room connects to the urban void, while the covered terrace is bordered by a mesh on the front and translucent walls on its sides, to allow full access to light and wind, while maintaining a moderate sense of distance from the city.

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To ensure year-round comfort and energy efficiency, the exterior skin and mechanical equipment were designed for comfort and energy-efficiency. Within a limited budget, the studio devised ways to ensure high performance with a combination of thoroughly reduced materials and low-priced equipment.

Nori Architects created a warm wood-filled space by eliminating interior finishes by using exterior insulation, and exposing the wood structure, base, piping, and wiring. This allows the residents to understand the structure of the building and to make repairs and modifications on their own. This is a proposal for a new prototype of urban housing in an age of global environmental crisis, by providing a delightful house open to the inside (family) and outside (city), full of light, wind, and natural materials, with less construction material and waste. 

By placing load-bearing walls with structural plywood and steel braces at appropriate intervals at both ends of each floor in the short direction, Minimum House achieved high earthquake resistance performance (Grade 3). The roof was constructed with a reduced number of components, by utilizing 3.5″ square timbers on top of the exterior insulation and a folded roof over baseboards and asphalt roofing.  This strategy helped simplify the roof framing and eliminated the need for rafters.

By using exterior insulation, high-performance window sashes, and eaves, the building achieved high envelope performance, above the energy conservation standard. A comfortable thermal environment was achieved at low cost by devising ventilation routes and using fans and ducts to distribute warm/cold air from a single under-floor air conditioner to each zone. In addition, the entire site, including the soil, was improved by digging trenches and holes in the exterior, burying organic materials, and allowing water and air to move through the soil.

For more information on the Minimum House visit Nori Architects and don’t forget to follow the studio on Instagram!

Photos by Jumpei Suzuki

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Progettata dallo studio di Tokio Nori Architects, Minimum House si trova a Toyota City, nella prefettura di Aichi. La casa, destinata ad una giovane coppia con i loro due figli, sorge su un sito lungo e stretto che va da est a ovest. Su quest’ultimo la strada è molto trafficata, mentre a nord e sud gli edifici adiacenti sono a ridosso del terreno.

Il volume è stato sviluppato come è un parallelepipedo compatto, con un lato di 3,6 m e profondo 13,6 m, su due piani, per una superficie totale di circa 100mq. La struttura è suddivisa in tre livelli. Una grande finestra sulla parete sud-est del soggiorno collega al vuoto urbano, mentre la terrazza coperta è delimitata da una rete e pareti traslucide ai lati, per consentire il pieno accesso alla luce e al vento, pur mantenendo un moderato senso di distanza dalla città.

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Il cappotto esterno e tutta la struttura sono stati progettati per il comfort e l’efficienza energetica: con un budget limitato, lo studio ha escogitato diversi modi per garantire prestazioni elevate con una combinazione ridotta di materiali e attrezzature economiche.

Nori Architects ha creato uno spazio caldo, ricco di legno, ha eliminato le finiture interne utilizzando solo l’isolamento esterno ed esponendo la struttura, la base, le tubazioni e il cablaggio. Ciò consente ai residenti di comprendere la struttura dell’edificio e di effettuare autonomamente riparazioni e modifiche. Si tratta di una proposta per un nuovo prototipo di edilizia abitativa urbana in un’epoca di crisi ambientale globale, fornendo una deliziosa casa aperta verso l’interno (famiglia) e verso l’esterno (città), ricca di materiali naturali, con un metodo costruttivo che crea meno rifiuti.

Grazie al posizionamento di pareti portanti con compensato strutturale e controventi in acciaio a intervalli appropriati su entrambe le estremità, Minimum House ha ottenuto elevate prestazioni di resistenza ai terremoti (Grado 3). Il tetto invece è stato costruito con un numero ridotto di componenti, utilizzando travi quadrate sopra l’isolamento esterno e un tetto con coperture in asfalto. Questa strategia ha contribuito a semplificare l’intelaiatura ed ha eliminato la necessità di ulteriori travi.

Grazie agli infissi e alle grondaie scelte, la Minimum House ha raggiunto anche prestazioni elevate, sopra lo standard di risparmio energetico. All’interno la distribuzione dell’aria calda/fredda è data da un unico condizionatore a pavimento, presente in ciascuna zona. Inoltre, l’intero sito, compreso il terreno, è stato migliorato scavando trincee e buche all’esterno, seppellendo materiali organici e consentendo il passaggio di acqua e aria.

Per avere maggiori informazioni sulla Minimum House visitate il sito di Nori Architects, non dimenticate di seguire lo studio su Instagram!

Foto di Jumpei Suzuki

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Looking at human hair as a material can be puzzling, but overcoming this taboo offers many advantages. An abundance quantity, non-toxic, non-irritating to the skin and anti allergic material to work with. It has a strength to weight ratio comparable to steel. It can be stretched up one and a half times to its original length before breaking. Founded in 2021, Human Material Loop explores the possibilities of waste human hair as a material to create sustainable products and promote a zero-impact economy.

Production is the first aspect to take into consideration: the textile industry is the second largest polluter just after the oil industry. Textile production makes up 10% of humanity’s carbon emissions, and the fashion industry produces 20% of the world’s wastewater. The current sourcing and manufacturing processes in the textile industry cannot be maintained and continued in a sustainable way.
Waste is another big problem: in Europe alone, an estimated 72 million kg of human hair waste is generated. Waste hair accumulates in large amounts in the solid waste streams, choking the drainage systems. It takes several years for human hair before decomposing: a natural filamentous biomaterial with approximately 80% keratin protein. The durability of keratins is a direct consequence of their complex molecular structure.

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To promote a sustainable economy, it’s necessary to change our idea of waste, no longer garbage but a new commodity. In addition to the characteristics aforementioned, as explained by Human Material Loop, due to the light weight of waste human hair the collected raw material can be transported by carbon neutral bicycles within our cities. Its thermal insulation can be applied within the construction and heavy duty work areas. Its oil absorbing capability can revolutionize how we scent our spaces or how we clean up oil spill disasters. Moreover, shed hair has no nuclear DNA. The hair follicle at its base contains cellular material, therefore hair that has been cut off by a barber or hairdresser does not contain any nuclear DNA and no person can be identified from it.

Specifically, Human Material Loop collects and processes waste human hair from beauty salons. Unlike other materials in the textile industry, human hair does not require any cultivation. At the current stage the material is spun to yarns and woven or knitted to applicable textile pieces. Current developments explore the physical  and chemical properties of human hair and an exploration for different industries. On the official website it’s possible to consult a page dedicated to the history of hair and its application, from jewelry to construction ropes.

To find out more visit Human Material Loop! There’s also a FAQ section, where you will find answers to all your questions!

Image: Dutch Blond Sweater, made of 100% recycled Dutch blond hair from Amsterdam, spun and knitted in the Netherlands.

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Do you want to see your project featured on WeVux? Feel free to send us an email at [email protected] to know more, or visit our About page

Considerare i capelli umani come un materiale può far storcere il naso ma, cercando di superare questo tabù, offre molti vantaggi. Si trova in grandi quantità con costi di produzione pari a zero, è anallergico e non è tossico, non irrita la pelle e un capello ha un rapporto resistenza/peso paragonabile a quello dell’acciaio. Inoltre, può essere allungato una volta e mezza la sua lunghezza originale prima di rompersi. Fondato nel 2021, Human Material Loop ha deciso di sfruttare questo materiale per creare dei prodotti sostenibili e favorire un’economia ad impatto zero.

Il primo aspetto da prendere in considerazione è quello della produzione: l’industria tessile è il secondo più grande inquinatore subito dopo l’industria petrolifera. La produzione rappresenta il 10% delle emissioni di carbonio dell’umanità e l’industria della moda produce il 20% delle acque reflue mondiali. Questo significa che, per un mondo più sostenibile, gli attuali processi di approviggionamento e produzione dell’industria tessile devono essere modificati. A questo si aggiunge la questione dei rifiuti: nella sola Europa vengono generati circa 72 milioni di kg di rifiuti di capelli umani che finiscono nelle discariche e si accumulano in grandi quantità nei flussi di rifiuti solidi, soffocando i sistemi di drenaggio. Ci vogliono diversi anni per i capelli umani prima di decomporsi: si tratta infatti di un biomateriale filamentoso naturale costituito da circa l’80% di proteine ​​di cheratina. La durabilità delle cheratine è una diretta conseguenza della loro complessa struttura molecolare. (continua)

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Per favorire un’economia sostenibile è necessario modificare la nostra idea di rifiuto, non più uno scarto ma una merce. Come racconta Human Material Loop, i capelli umani hanno un valore, oltre alla caratteristiche citate sono leggeri, la materia prima raccolta può essere quindi trasportata con biciclette a emissioni zero all’interno delle nostre città. Il suo isolamento termico può essere applicato all’interno delle aree di costruzione e di lavoro pesante. La sua capacità di assorbimento dell’olio può rivoluzionare il modo in cui profumiamo i nostri spazi o il modo in cui ripuliamo i disastri delle fuoriuscite di petrolio. I capelli tagliati non hanno DNA in quanto questo si trova nel follicolo pilifero, alla base. Nel momento in cui vengono spezzati o tagliati (per esempio dal parrucchiere), non contengono alcun DNA, nessuna persona può quindi essere identificata dal materiale.

In concreto, Human Material Loop raccoglie e tratta i capelli umani raccolti dai saloni di bellezza. A differenza di altri materiali nell’industria tessile, non richiedono alcuna coltivazione. Nella fase attuale del progetto, il materiale viene filato e tessuto o lavorato a maglia. Gli attuali sviluppi esplorano le proprietà fisiche e chimiche dei capelli umani per diversi settori. Sul sito ufficiale è possibile consultare anche una pagina dedicata alla storia dei capelli e alla loro applicazione, da gioielli a corde per costruzioni.

Per saperne di più visitate Human Material Loop! Sul sito è presente anche una sezione Faq, in cui troverete risposta a tutte le vostre domande.

Immagine: Dutch Blond Sweater, realizzata con capelli biondi olandesi riciclati al 100% provenienti da Amsterdam, filati e lavorati a maglia nei Paesi Bassi.

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Vuoi vedere il tuo progetto pubblicato su WeVux? Mandaci una mail a [email protected] per saperne di più, oppure visita la nostra pagina Chi siamo

Since last week, we have started publishing a selection of the best articles of 2021. After new materials, today we will present projects, studios and initiatives that pay particular attention to sustainability: material recovery labs, exhibitions, 100% sustainable products and much more. For the more curious, next topics will be: innovative projects, social projects, best interviews and must-read articles. Here’s today’s selection:

CHAIR 1:1 by Alessandro Stabile and Martinelli Venezia
Chair 1:1 is a mountable/demountable chair, in which all the pieces are molded in one go, therefore optimizing the mold size and the speed of the production process and reducing waste to a minimum as well.

SOAPBOTTLE, founded by German designer Jonna Breitenhuber
SOAPBOTTLE transforms the concept of cosmetics without packaging, allowing it to become part of the body product. The soapbottle dissolves gradually and, once the liquid is finished, the empty bottle can be reused as hand soap.

Studio Tŷ Syml and biomaterials
Tŷ Syml acts according to the principles of Cradle to Cradle, in short, the idea of ​​an industrial system that not only looks at profit and efficiency but also at ecosystems and environmental compatibility. The studio uses organic materials and local resources to create products that do not have a negative impact on the environment. 

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Le Terre by Domenico Orefice
His approach is based on the rediscovery of local techniques and processes that he contaminates with new technologies and materials, with the aim of creating contemporary objects. An example of this method is Le Terre collection, which arises from the rediscovery of materials that have characterized the Mediterranean culture for centuries.

OHMIE, The Orange Lamp™ di Krill Design
With Ohmie the Orange Lamp ™ we can see a clear example of how food waste can be successfully reused in an eco-design product that is both “beautiful and functional”. At the end of its life cycle, the lamp can be broken down into smaller pieces by hand before being thrown away with household organic waste.

SPAZIO META, a new sustainable alternative for the reuse of materials
META was created to counteract the over-production of waste, offering a sustainable and alternative solution to the traditional cycle of production, consumption and disposal of display installations. META recovers materials from salons, fashion shows, exhibitions and events, cleans and exhibits them for sale to the public.

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ADI, Compasso d’Oro 2022, “Sustainable and responsible development”
For the first time ever Italy’s most coveted design award is focusing on the theme of “Sustainable and Responsible Development”, reflecting not just current concerns but a journey that began almost thirty-five years ago.

SUPERLOCAL and its Production Hub 1
Born as an alternative to current production methods, SUPERLOCAL pays particular attention to the social and environmental feasibility of industrial processes. Specifically, production processes are relocated within the urban infrastructure, like a conveyor belt, creating new local production lines. The current phase of the ongoing research is the design of a physical place, the SUPERLOCAL Production Hub 1. The space has been created with the function of coordinating the local production lines, previously activated in the neighborhood.

“DEPLASTIC: actions and good practices against plastic abuse” exhibition
We are used to hear about the damage of plastic, its life cycle, its recycling… Deplastic takes stock of the situation in a simple, precise and effective way. From insights into the production of the material and its best use, to new sustainable solutions.

AQUASTOR by Zihao Fang, a project to stop desertification
Aquastor is able to provide nourishment, store moisture and facilitate the development of more fertile soils. This is not just an interesting project and an example of biomimicry, but proves to be a fundamental support for large-scale reforestation projects, in which to date there are no sustainable solutions for the supply of water and nutrients.

Click here to see the 10 new materials featured on WeVux in 2021!
Cover image, ph. Sandro Trigila

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This article was written for Salone del Mobile.Milano and previously published on salonemilano.it digital platform

Architect and journalist Giuliana Zoppis writes on architecture, design and furniture, with particular regard to circular design, bio-architecture, and the social and environmental responsibility of the housing sector.  In 2006 she and Clara Mantica founded Best UP, Circuito per la promozione dell’abitare sostenibile. She is currently the Coordinator of the Sustainability Committee of ADI (Adi Design Index / Compasso d’Oro). For over twenty years, Zoppis has been looking into matters that have since emerged as issues of major concern, such as how to reduce the environmental impact of industrial activities and the importance of acting at a systemic level, both of which were among the themes explored at the latest “supersalone”. The following conversation to understand how the world of design is getting along today and if it will be able to face the new challenges of the post-Covid era.

How has the world of design’s approach to sustainability changed in the last twenty years?

The real big change is in the way it functions as a system, so that we all, whether companies, institutions, associations or simple users and consumers,  now feel part of a global process that is itself in search of new paradigms. This change has helped everyone to redirect  their aim onto  the things that really matter. Two very relevant texts come to mind. The first is from Roland Barthes: “The essence of an object has something to do with the way it turns into trash.” The second is taken from a document of the UK Design Council: “Sustainable design involves the strategic use of design to meet current and future human needs without harming the environment. It means (re)designing products, processes, services or systems to resolve imbalances between the needs of society, the environment and the economy, and to mitigate the damage already done.”  So it is a question of designing and producing without generating more waste, and of creating objects and  buildings that are both long-lasting and, once decommissioned, readily transformable into useful new materials. Sustainable design is a powerful tool that can be deployed for the betterment of human wellbeing. When we talk about social design like we are now, we are referring to a discipline in which the scope and extent of the social responsibility of companies and professionals are determined. Basically, social design is where public and private entities come together to develop sustainable economic projects for communities. Social design  projects seek to effect positive behavioural change and find ways of encouraging deeper social engagement.

As many have had occasion to mention, the pandemic seems to have spurred the development of eco-sustainable solutions both in architecture and in the sourcing of the materials used in design. What are the most important challenges for companies and designers today?

The biggest challenge is doing the right thing right away. In a recent interview on Italian television, the environmental justice activist Greta Thunberg was very clear: we must continue to urge everyone, governments, political parties and businesses, to commit themselves without delay to protecting the planet. Each according to their skills and abilities. The manufacture of objects and machinery, and the construction of buildings are part of a global phenomenon, and we all know exactly what they cost in terms of emissions and damage to biodiversity and world health. The pandemic is just one of the effects of the climatic and environmental imbalances that concern us all. The media coverage of the pandemic attests to the urgency of the economic and financial situation into which it plunged the world, causing the governments of the wealthiest countries to undertake an escalating number of budgetary and financial support actions. If we could only act so decisively and far-sightedly in preventing the waste of natural resources and raw materials, and in drastically reducing waste, then half our work would already be done.

How does Associazione per il Design Industriale (ADI) support sustainability in its field?

ADI is an official partner of the New European Bauhaus, which intends to build a centre of experimental work in furtherance of the transformation of Europe into a more open and inclusive place both in the manufacturing of goods and in the utilization of local economic resources. We at ADI see the ethics of culture and design as being inextricably connected with scientific and technological innovation. We are working towards the common goal of developing advanced, and environmentally and socially responsible solutions across the board. ADI invites designers, architects, engineers, scientists, students and creatives to propose projects for the transition to sustainability. The projects we want are those that emerge from an ongoing stakeholder conversation between designers, members of the public, businesses and institutions.

Best UP has been going for fifteen years. Founded in 2006 with Clara Mantica, it “promotes sustainable living and carries out activities to raise awareness and disseminate a culture of sustainability.” It is a network of professionals and companies. What kind of services do you offer? How do you operate?

For the past 15 years, we at Best UP have always been on the lookout for opportunities to reconcile “design for the planet” both with the current best practices of Italian firms and with local  realities. We encourage sustainability  projects and offer ongoing support for their progressive improvement. Right from the start, the Association has tackled the problems of sustainable living from this perspective, and has always been aware of the good things that several  companies are already doing (some without taking sufficient credit), from project conception to production, distribution, consumption, all the way up to the recovery/recycling or reinvention phase of the cycle. Social and environmental sustainability are the values that underpin our activities, which are amply documented on our website. We offer training courses for schools and businesses, help build regional networks between the artisan sector and industrial supply chains, and give seminars and educational presentations on consumer behaviour.

Has the way you work changed as a result of the recent pandemic? Have there been more requests for help from companies and individuals?

The promotion of design as a vital tool of sustainable development and agent of change is leading us increasingly in the direction of recognizing the importance of social responsibility, which necessarily raises questions of rights and poverty. This was already happening well before the pandemic. We have our finger on the pulse of the situation, thanks to our active local presence in regions well outside our base in Lombardy. Each associate has made a practical commitment to take action in the areas of contemporary living where the need for change is most pressing. In recent years, some associates have dedicated themselves to meeting the primary needs of the most vulnerable members of society (those who measure wellbeing in terms of mere survival); some have chosen to make their contribution via international movements for the prevention of ecological devastation; some have expanded into the field of research and social life-cycle assessment (S-LCA) to examine how product and process life-cycles affect social assets; some have deepened their own participation and that of Best UP in global networks such as O2GN, which brings together eco-designers from dozens of countries; and others have focused their energies on urban regeneration through sustainable food production in abandoned buildings. We are participants in  projects and activities based on a common desire to overcome prejudice and division, so that we may live in the world in full awareness of the truth that every creature and all living things on the planet are interconnected and interdependent.

The 2010 manifesto of the Association addressed many contemporary topics, such as the importance of building a system, how to minimize environmental harm through longer product life-cycles, recognition of the work done by women, the companies of the future… Your Association is both far-sighted and forward-looking. Given that these points remain as relevant now as ever, if you were to rewrite Best UP’s manifesto today, what would you add to it?

The manifesto shows how Best UP, which many recognize as a pioneer in the area of sustainable living, advocated a systemic approach from the very outset. Point 9 of the manifesto, cited by Ezio Manzini at the presentation of the Association at the Triennale, declares that companies of the future “are those that generate positivity,” and that “they are those who build a sustainable economy whose strength lies in its ‘relationship capital.’” Looking back across the space of so many years, I can obviously see certain aspects that should have been emphasized more, beginning with the importance of circularity in manufacturing processes, from the extraction of raw materials and the sourcing of secondary materials to distribution, maintenance, repair and reuse. We ought to have underscored more boldly the fact that nothing loses value in a circular economy in which products are accompanied “from the cradle to the cradle,” so to speak. There should have been a stronger commitment to the use of renewable energy. As we have seen, the resources of the planet are not infinite, so we need to transition as quickly as possible to non-fossil fuels. As regards our living spaces and environments, we have various different options depending on the climate of our location and the resources it has to offer. Another crucial necessity that warrants our unstinting effort is the drastic reduction of waste, which needs to occur upstream, at source, where it is created. We need a total paradigm shift that will decisively change our behaviour as individuals for once and for all.

So how did the recent “supersalone” exhibition go? The next trade fair appointments are scheduled for April 2022. Do you expect to see a “green” relaunch?

As many colleagues from the worlds of sustainable design and communications have noted, the 2021 edition of the Salone del Mobile was a success as a trade fair event given the planning time and resources that were available after two years of stoppage, and given that it took place a few months after its 60th anniversary. But it was also a success in terms of its messaging because it was a resonant, concise and effective statement of intent from the furniture industry in response to the challenges it now faces. It is a message that has been heard across the world and has prompted even some of the most sceptical to express their solidarity and appreciation. Once again the city’s “Fuorisalone” events, which are adjacent to but separate from the main trade fair, have proved a great success. For over 20 years, Fuorisalone events have accompanied and supported Design Week and, this year more than ever, they remind us that only through collective action and the adoption of a more human dimension can we create the new contexts and formats we need. As for the “green relaunch” that you mentioned, my answer is that there is simply no alternative to embracing environmental and social responsibility in every area of production and consumption. If we are to thrive in the present and give meaning to our business ventures and companies, we must return to our field of activity armed with the tools and knowledge of ecology and biology accompanied by – or “fused with” as I would put it – our project management skills. To do this, we need to put nature and human wellbeing at the centre of our attention, incorporate them into our planning and design and embed them in the reality that we build. It is a challenging prospect for us all.

Click on the projects to find out more!
Manifesto Best Up / The Natural Circle 2015 / Ciclo di Vita / O2Italia / Urban Farm Design

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Established in 2009 by Sukwoo Lee, SWNA is the design office located in the highly inspirational city of Seoul, Korea. They are a group of passionate designers who experiment the design process and cross over the various fields striving to create meaningful designs for the better world. They develops design projects in the fields of objects, environment and strategy. Among SWNA’s clients we can find name such as Google nest, Samsung, BMW, Audi, Hyundai Motors, LG, 3M, Dell, Nestlé, Siemens, and many more…

Since 2018, SWNA has designed a small air purifiers with JAJU as the first product to reflect Korea’s lifestyle. The simple and light appearance of JAJU air purifier fits in different indoor settings harmoniously. It’s designed in an optimized size for a space such as a living room or a small room.
Electric dust precipitator is an advantage that can be used semi-permanently without replacement. In addition, The air purifier was designed in a simplified form so that anyone can easily replace dust filters.

Visit SWNA to know more about JAJU and follow the studio on their Instagram!

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Images via theswna.com

Andrea Ponti Design has created another interesting mobility solution: Kite, a passenger drone designed to connect the cities of the Greater Bay Area (Guangdong, Hong Kong and Macao) in the post-Covid era. The studio has been previously featured on WeVux with his driverless tram concept, Island

The restrictions that followed the Covid-19 pandemic have heavily hit air travel and tourism, especially in Asia. A key player in restarting the economy and tourism in Asia is the Greater Bay Area, a large industrial region in Southern China, which includes nine cities and the two special-administrative regions of Hong Kong and Macau.
Ponti Design Studio created KITE, a passenger drone concept, fully electric, with zero-emission, unmanned vehicle features cutting-edge technology and sophisticated, minimalist design that reflects the spirit of Hong Kong and its region. The name KITE was inspired by the black kite, a majestic migratory bird that can be found in Hong Kong during the winter. With a 150cm wing span it is an extremely fast, agile and intelligent bird of prey.

KITE’s rounded and compact fuselage minimizes drag and optimizes maneuverability during flight. Its interior layout recalls a private jet, with a central aisle and one line of seats on either side. The cabin can be accessed through a single rear door, while the glass side panels work as emergency exits. KITE is propelled by four double-helix rotors attached to the composite fuselage which features LED headlights for landing and low-altitude flying, and retractable landing skids. On the ground, it docks onto a platform for embarking/disembarking and recharging in between flights. The cabin offers four single seats with 4-point quick-release harnesses, one front screen and two rear screens that display takeoff, flight and landing information. The seats can recline and they feature a polycarbonate shell, with soft fabric cover and leather cushions. Asymmetric seat stands create underseat storage space for carry ons, whereas the area behind the back seats offers storage for bigger luggage. Buttons and retractable trays are integrated in the armrests for maximum in-flight comfort. In this transition phase when air travel has decreased significantly, KITE offers a new option for inter-city transit within the Greater Bay Area. With its sophisticated design, composite materials and advanced technology, KITE is a sustainable and attractive alternative to more traditional forms of air or land transport. KITE also embodies the innovative drive of this up-and-coming region and it promotes the advancement of scientific and technological research, not only in Hong Kong and the Greater Bay Area, but in all of Asia.

Visit Andrea Ponti Design to know more about this concept and follow the studio on Instagram!

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KÖN underwear doesn’t exclude anyone. This is a gender neutral brand for everybody – whoever you define yourself as. The fashion industry can be seen as very excluding in different kinds of aspects, like the world itself. Wouldn’t you like to be accepted for being yourself? KÖN is a brand with a 0% prejudiced policy. The name is a Swedish word with a significance for both gender and sex.

It took years to Bill Heinonen to develop this elegant underwear design when the idea of the most including brand on the market was born. The brand didn’t just aim for a great fit and comfort for all genders: they successfully use top environmental friendly materials.
Kön underwear are produced in 95% modal, an eco-friendly fabric spun of cellulose fibres from trees, which is mixed with 5% elastane – for comfort and elasticity. This fabric is silky smooth, breathable with an extraordinary softness that makes it ideal for body contact. Modal has many fantastic characteristics that defines Kön underwear as a high quality product. It’s water absorbent with an ability to absorb the dye and stay colorfast when it’s washed. Modal also has an impressive resistance to shrinkage and pilling. 

The fashion industry is one of the biggest polluters in the world. We do all need to start think about what kind of world we will handover to the future generation. Modal ain’t just a great material to wear, it requires less land per tonne and has a water consumption level that is ten to twenty times less than cotton. Kön is also using 100% recycled paper for their packagings, a small decision that makes a difference. The production of Kön is based in Portugal under the best occupational health and safety practices – because, as they write on their website:

“Yes, we basically care about a high quality standard for everybody involved, and everything involved in this brand.”

For example, “No matter what size, you’re beautiful” is another important message from the brand to the client, printed on their size labels.

In line with their philosophy, everybody are welcome to be part of KÖN for modelling, no matter size, height, gender, or nationality. They don’t work with model agencies, because they have requirements on people’s look and they do not. Kön believes in the art of capturing natural beauty and pay less focus on editing programs.

“Stay true to yourself and we might finally get rid of the misleading ideal of beauty and happiness.”

Kön is a revolutionary brand for the fashion industry and an inspiration for their mission. Visit their website to see their products and know more about the brand!

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Newtab-22 is a studio founded by designers and makers Jihee Moon and Hyein (Hailey) Choi. They are interested in natural, new or overlooked materials. The studio outcomes aim to critical approaches to sustainability and its significance into society. One of their latest project is Sea Stone:

Sea Stone is a cement look alike ‘’mimic’’ material which in reality is comprised by natural, non-toxic and sustainable materials. It features plastic hardness and aesthetic texture. It’s a zero-waste project, made by by-products of the seashell which goes to landfills after the consumption in the sea-food industry. 

 As wasted shells are the main composition of the Sea Stone, it indicates the up-cycling of the product, using shell after consumption in the sea food market and industry. Every year, 7 million tons of seashells are discarded. The majority of them are being thrown into landfills. Seashells are non-biodegradable and thus polluting the land and water when discarded and the cost of disposing process is tremendous.

Sea Stone project has a positive environmental impact as proposing a potential material which is constituted by wasted seashells.

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Andrea Sebastianelli is a young Italian product designer, specialized from the Eco Social Design Master of the Free University of Bolzano. After experiences in London and Brussels, Andrea currently works in Rotterdam and collaborates with TheNewRaw studio.
Since the beginning, his approach has always been driven by a key word, sustainability – which is essential today. We asked Andrea a few questions to understand how he developed his method over the years.

His design studies begins at the Istituto Superiore Industrie Artistiche (Isia) in Pescara, where he finds an academic approach which requires to work artisanally: students develop projects in a space called offina (garage-workshop), and they are asked to design both product and graphics parts. Despite the Industrial Design course, the school focuses deeply on collaborations with local craftsmen, which therefore allow students to have a more sustainable approach to the project.

Following this experience Andrea feels the need to go further and face more the part of research and theory within a project, “I felt the need to give a reason to the drawing, to face the methodological part, to give a strong meaning to the forms, a part that is a bit missing in the academies. “
This need lead him to attend the Eco Social Design course in Bolzano. The faculty has a sustainable method, not only from the materials point of view, but also from the social and economic one – the term “eco” stands for ecology, economy but also ecosystem. Nevertheless the Bolzano province is strongly characterized by a traditional craftmanship with productions that use local wood and fabrics.

It is precisely here that Andrea finds his method, thesis-antithesis-synthesis. It is a methodological typology that probably many other designers use, but which is worth explaining. The end result is a synthesis of all the negative and positive aspects of a product. We are not only talking about materials but also about production methods, environmental and social impact, process sustainability, pros and cons. In this case, not only the artifact is analyzed but the whole context in which a project can be developed, a fundamental aspect that many designers have forgotten.

In this regard, we show you two projects to better explain Andrea’s method: the first is Campo Libero, started in the summer of 2016 from the thesis of Andrea Sebastianelli and Stefania Zanetti. The project has the aim of creating a new production chain associated to the cultivation of hemp in Trentino Alto Adige, with the subsequent effects on the processing and production processes of a green alternative to synthetic plastics.
Until the 1940s, Italy was one of the largest European producers of hemp but following the advent of plastics and synthetic materials and with the consequent prohibition of all crops containing THC, the cultivation of hemp suffered an arrest which it has lasted for nearly fifty years. Currently the cultivation of hemp is mainly related to seeds for the production of organic oils and flours and to hemp (the woody part) for green building constructions, but no textiles yet. This is our problem, the death of the fiber processing chain. All the fibrous parts of the plant, which in the 1950s were used to make tablecloths or clothes, are now abandoned in the fields.

Starting from this context and with the support of ITAS (Trentino-Alto Adige Institute for Insurance, the insurance company founded in Trentino in 1821), the designers created a decorticator for the transformation of hemp in the South Tyrolean territory and the creation of furnishings and design with the resulted material. Up to now the project has involved about twenty farmers from the Trento and Brunico area, a dozen craftsmen between Bolzano and Trento and the Bressanone Museum. The processing was then entrusted to a non-profit organization that creates opportunities for integration and work for fragile people.

It’s clear how this project is not only about hemp and tradition. It’s about creating synergies within a community, from the producer to the customer, reintroducing a method that we have let go over time, but in a modern way: connecting artisans, farmers, fragile people and designers. It is not about a decorticator design, but a sustainable production system that can renew tradition and benefit everyone.

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Another very interesting project, to which Andrea has been part of the design team, is Print Your City by The New Raw that is part of Coca-Cola’s ambitious “Zero Waste Future” program in Greece.

This project explores the possibility of using the city’s plastic waste to build public spaces with 3D printing, involving citizens. The idea is presented with a temporary installation of a series of 3D printed urban furniture made with plastic waste for domestic use. Citizens recycled 800 kg of waste for the production of this square, moreover they chose the design, colors and extra functions of the products through an online platform.
In this case they become the main characters of the project, recycling the material and choosing the design they prefer. The primary aspect is once again sustainability: the idea of educating the users to recycle and introduce them to the production process, allowing the community to fully appreciate the final result.

We conclude talking about globalization, the crisis we are experiencing, the future of design: “We speak a language that is not ours, we eat foreign foods, and it is beautiful, we are connected. However, what’s left from our traditions? which from a material and social point of view are also more sustainable? … from another perspective, as Enzo Mari said, the glass is half full and half empty. Industry is not the wickedness of the world, but it is how it works which represents evil. Industry can help produce cheaper objects, that means more economically sustainable for example.
Nowadays it’s important that the drawing has a real content, that design is not a whim. It is important to be a designer also from a political point of view, I mean, as the choices we make. We can not only be at the service of the market… in any case we must work with the industry, because the values of design play behind that world of mass production, there we can find the origin of this crisis … “

Andrea has a particular sensitivity and a very artisanal method, with the awareness of what he is doing and the historical period in which he is operating. The chance to travel abroad and experience different situations showed him realities that he defines as alienating, as London. Not only from a work condition but also to a social level. By coming into contact with the more commercial part of design, he realized the importance of a 360° sustainable method. As we always repeat, design does not exist without its context and he is aware of this. As we can see from the previous examples, it is not about products, but artifacts that activate connections between multiple individuals in a community, bringing innovation and social and economic benefits.

We thank Andrea for the wonderful conversation and we hope that more and more designers can become aware of the value and importance that the project holds for our future.
To see other projects, visit andreasebastianelli.com
Instagram @andreasebastianelli

Campo Libero design by Andrea Sebastianelli and Stefania Zanetti
Photo by Castellan Curzio

Pots Plus design by TheNewRaw
Project team: Panos Sakkas, Foteini Setaki, Stavroula Tsafou, Andrea Sebastianelli, Andreas Kyriacou, Nickolas Maslarinos

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Andrea Sebastianelli è un giovane designer italiano di prodotto, specializzato al Master Eco Social Design della Libera Università di Bolzano. Dopo esperienze a Londra e Bruxelles, ora Andrea lavora a Rotterdam e collabora con lo studio TheNewRaw. Dai primi progetti il suo approccio è sempre stato accompagnato da una parola chiave, fondamentale oggi, la sostenibilità. Lo abbiamo quindi chiamato per fargli qualche domanda e capire come ha sviluppato il suo metodo nel corso degli anni.

Il suo percorso inizia all’Istituto Superiore Industrie Artistiche (Isia) di Pescara, che lo pone davanti ad un approccio accademico ma che richiede di lavorare a livello artigianale: gli studenti sviluppano i progetti in uno spazio chiamato officina, e viene loro richiesto di progettare sia la parte di prodotto che di grafica. Nonostante il corso di Disegno Industriale, la scuola punta molto sulle collaborazioni con artigiani locali, che permettono quindi agli studenti un approccio più sostenibile al progetto.

In seguito a questa esperienza Andrea sente il bisogno di andare oltre e affrontare di più la parte di ricerca e teoria all’interno di un progetto, “sentivo la necessità di dare una ragione al disegno, di dover affrontare la parte metodologica per dare un significato forte alle forme, una parte che un po’ manca nelle accademie.”
Questa sua volontà lo porta a frequentare il corso Eco Social Design di Bolzano. La facoltà ha un’impronta sostenibile, non solo dal punto di vista dei materiali, ma anche da quello sociale ed economico – il termine “eco” infatti sta per ecologia, economia ma anche ecosistema. Inoltre, la provincia di Bolzano è fortemente caratterizzata da una tradizione artigianale con produzioni che utilizzano legno e tessuti locali.

Ed è proprio qui che Andrea trova il suo metodo, tesi-antitesi-sintesi. Si tratta di una tipologia metodologica che probabilmente molti altri designers utilizzano ma che vale la pena spiegare. Il risultato finale è una sintesi di tutti gli aspetti, negativi e positivi, di un prodotto. Non si parla solo di materiali ma anche di metodi di produzione, di impatto ambientale e sociale, di sostenibilità del processo, pro e contro. In questo caso non si analizza solo l’artefatto ma tutto il contesto in cui questo può nascere, un aspetto fondamentale che molti progettisti hanno dimenticato.

A questo proposito vi mostriamo due progetti per spiegare meglio il metodo di Andrea: il primo è Campo Libero. Nasce nell’estate 2016 dalla tesi di Andrea Sebastianelli e Stefania Zanetti, e ha l’obiettivo di creare una vera e propria nuova filiera legata alla coltivazione della canapa in Trentino Alto Adige, con le successive ricadute sui processi di lavorazione e produzione di un’alternativa green alle plastiche sintetiche.
Fino agli anni ’40, l’Italia era uno dei più grandi produttori europei di canapa ma in seguito all’avvento delle plastiche e materie sintetiche e con la successiva proibizione di tutte le colture contenti THC, la coltivazione della canapa ha subito un arresto che si è protratto per quasi cinquant’anni. Attualmente è legata principalmente ai sementi per la produzione di olii e farine biologiche e al canapulo (la parte legnosa) per le costruzioni in bioedilizia. E il tessile? Il problema moderno è proprio questo, la morte della filiera della trasformazione della fibra. Tutta la parte fibrosa della pianta, che negli anni ’50 veniva utilizzata per fare tovaglie o abiti, viene oggi abbandonata nei campi.

Partendo da questo contesto e con il sostegno di ITAS (Istituto Trentino-Alto Adige per Assicurazioni, la compagnia assicuratrice fondata in Trentino nel 1821) i designer hanno realizzato un decorticatore per la trasformazione della canapa nel territorio altoatesino e la realizzazione di elementi d’arredo e di design con il materiale ottenuto. Il progetto sino ad ora ha coinvolto una ventina di contadini del territorio di Trento e Brunico, una decina di artigiani tra Bolzano e Trento e il Museo di Bressanone. La lavorazione è stata poi affidata a una onlus che crea occasioni di integrazione e lavoro per persone fragili.

Il progetto non si limita a lavorare la canapa e reintrodurre un metodo che abbiamo lasciato andare nel tempo, ma crea sinergie all’interno di una comunità, dal produttore al cliente. Collega artigiani, contadini, persone fragili e designer. Non si tratta di progettare un decorticatore, ma un sistema sostenibile di produzione che possa rinnovare la tradizione e giovare a tutti.

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Un altro progetto molto interessante a cui Andrea ha partecipato come parte del design team, è Print your City by The New Raw ed è parte dell’ambizioso programma “Zero Waste Future” di Coca-Cola in Grecia.

Questo progetto esplora la possibilità di utilizzare i rifiuti di plastica della città per costruire spazi pubblici con la stampa 3D, coinvolgendo i cittadini. L’idea è presentata con un’installazione temporanea di una serie di arredi urbani stampati in 3D realizzati con rifiuti di plastica per uso domestico. I cittadini hanno riciclato 800 kg di rifiuti per la produzione di questa piazza, e hanno scelto il design, i colori e le funzioni extra dei prodotti attraverso una piattaforma online.
In questo caso diventano quindi i protagonisti del progetto, riciclando il materiale e scegliendo il design che più preferiscono. L’aspetto principale è ancora una volta la sostenibilità: l’idea di educare l’utente a riciclare e renderlo parte del processo di produzione, permettendogli di apprezzare a pieno il risultato finale.

Per finire abbiamo parlato di globalizzazione, della crisi che stiamo vivendo, del futuro del design:
“Parliamo una lingua non nostra, mangiamo cibi stranieri, ed è bellissimo, siamo connessi. Ma cosa rimane delle nostre tradizioni locali? che dai punti di vista dello sfruttamento dei materiali e sociale sono anche più sostenibili?…
da un altro punto di vista però, come dice Enzo Mari, il bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto. L’industria non è la malvagità del mondo, ma è come lavora che rappresenta il male. L’industria può aiutare a produrre oggetti più sostenibili a livello economico per esempio...
Adesso è importante che dietro al disegno ci sia del contenuto, che il design non sia un capriccio. è importante essere designer anche dal punto di vista politico, inteso come delle scelte che prendiamo. Non possiamo essere solamente al servizio della merce… in ogni caso dobbiamo lavorare con l’industria, perchè dietro quel mondo di produzione di massa si giocano i valori del design, lì possiamo trovare l’origine di questa crisi…”

Andrea ha una sensibilità particolare e un metodo molto artigianale, con la consapevolezza di quello che sta facendo e del periodo storico in cui sta operando. La possibilità di viaggiare e fare esperienze all’estero lo ha posto anche davanti a realtà che definisce alienanti sia a livello lavorativo che sociale, come Londra. Venendo a contatto con la parte più commerciale del design si è reso conto dell’importanza di un metodo sostenibile a 360°. Come ripetiamo sempre, il design non esiste senza il suo contesto e lui ne è ben consapevole. Come possiamo vedere dai precedenti esempi, non si tratta solo di prodotti, ma di artefatti che attivano connessioni tra più individui di una comunità, portando innovazione e benefici sociali ed economici.

Ringraziamo Andrea per la bellissima conversazione e speriamo che sempre più progettisti possano rendersi conto del valore e dell’importanza che ricopre oggi il progetto per il nostro futuro.
Per vedere altri progetti visitate il sito andreasebastianelli.com
Instagram @andreasebastianelli

Campo Libero design by Andrea Sebastianelli and Stefania Zanetti
Photo by Castellan Curzio

Pots Plus design by TheNewRaw
Project team: Panos Sakkas, Foteini Setaki, Stavroula Tsafou, Andrea Sebastianelli, Andreas Kyriacou, Nickolas Maslarinos

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Andrea Ponti is a Hong Kong-based Italian designer specializing in Product and Industrial Design. He has been working for 14 years, over seven in Japan and six in Hong Kong. Among his clients we can read name such as Panasonic, Philips and Samsonite. One of Andrea’s latest project is Island, a double-decker driverless tram designed for the city of Hong Kong in the post-Covid era.

This highly innovative design concept incorporates industrial design, transportation and public design, urban mobility and sustainability. The project includes exterior, interior and tram stop design. With this pandemic, people are shunning public transport and relying much more on private transport. Therefore Andrea wanted to re-imagine public transport in the post-Covid era from a prevention perspective, especially in the densely populated city of Hong Kong, where social distancing is hard to achieve.
The idea of designing a tram is no coincidence: trams are one of the city’s landmarks and the tramways celebrate their 115th anniversary this year. The concept of social distancing, which limits people’s freedom to move and interact became the design challenge and focal point for the new concept. The name Island references the innovative design of the interiors, where large circular benches facilitate social distancing and passengers sit facing outwards in a radial pattern. The exterior design is inspired by the Hong Kong urban landscape, which features vast surfaces of glass and rounded-corner buildings. Natural light floods the interiors during the day through the curved windows and a domed top, which also provide awe-inspiring views at night.

The driverless technology optimizes the interior space of the tram, making it easier to manage travel times and increase onboard safety. The tram has a retractable connector for rapid charging at tram stops. Large vertical LEDs enhance visibility in all weather conditions. The interior design contrasts with the exterior. Minimalist design, charcoal black walls, soft circular seating, wooden floors and trims with natural finish all create a neutral and friendly environment. This chromatic diversity, in addition to the dark color palette, frames and accentuates the beauty of the Hong Kong urban landscape. The simple tram stop structure has sleek, essential lines. Being open on both sides, it facilitates a linear, orderly flow of people and a healthier environment. The graphics guide passengers through the boarding and payment process, made by Octopus Card, before boarding. This streamlines the boarding procedure and optimizes the available space inside.

Island explores a wide spectrum of design aspects, from the product to the urban landscape. It represents the forward-thinking spirit of Hong Kong, and introduces a new concept of public transport that overcomes the practice of social distancing. We shouldn’t be dividing and separating but instead rethinking public spaces with a seamless, integrated and effective design approach.

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Keep Life is born of an intuition from the designer Pietro Petrillo. In the South of Italy during Christmas holidays Italians consume a lot of dried fruit. Pietro noted how shells, devoid of their own fruit, were composing a harmonious and irregular mantle, characterized by different shades of colors and sizes… Starting from these observations, Pietro began to experiment with shells and in early 2017 Keep Life brand was born, with its patent for industrial invention. At the beginning of 2018 designer Ilaria Spagnuolo joined the project.

Keep Life is a composite material with a wooden nature, malleable and self-hardening, generated using the shells of hazelnuts, chestnuts, walnuts, almonds, pistachios and peanuts, with the addition of a binder free of harmful substances, fillers and fillers, solvents and formaldehyde. (part of the patent).
Each shell has two common peculiarities: on one hand the wooden/mechanical one, which gives strength, hardness, rigidity and density to the shell. On the other hand the seasoning. This occurs in two moments: during the fruits ripening and after its collection.
The process starts with a selection of the shells: they are divided for strength and color through a first granulometric analysis, performed by sieving. Once the desired combination has been reached, there’s the mixing phase, entirely handmade, which takes place using the waste and the binder.
The procedure continues with the drying of the material with consequent self-hardening inside molds, custom designed and made by 3D molding with natural filaments. These are then subjected to compression through the use of a hydraulic press. The entire drying process lasts from 20 to 30 days and is carried out in a completely natural way. The last stage of processing involves the use of traditional carpentry equipment with the use of CNC technology.

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The result has three different shades of color, from the lightest to the darkest, and three different types of sanding. We go from a surface that highlights the material aspect, to a semi-material, up to one smooth and compact surface, non-porous, free of visible joints, which meets the highest standards from an aesthetic, constructive, functional and hygienic point of view.

Keep Life (which means keeping alive) finds its natural place in the field of furniture and construction, becoming part of
of those categories of eco-sustainable, innovative and bio-inspired materials. With the use of this material we create products that range from the micro scale, such as lamps, supporting furniture (seats and tables), container furniture (sideboards, wardrobes, bookcases equipped walls, etc.), to the macro, such as the realization of coatings and technical partition walls.

The purpose of Keep Life is to create a valid alternative to wood, so as not to have a decrease in global greenery, but on the contrary, an increase and an encouragement to make it grow. In the green vision of the brand, there is the intention to make a real contribution to the increase of the common green area, by reforesting public areas with useful trees
to the cause of the material, interacting with the relevant bodies. This action aims to make Nature and the community complicit, making the latter aware of the direct knowledge of the environment and the wealth present in the Italian territory.

It is not about recycling, nor about reuse, Keep Life is continuity, it represents a process that tries to generate a concrete alternative of matter, transforming itself into a new wrapping and thus becoming an extension of the fruit tree inside a domestic or urban space.

Per saperne di più visitate il sito di Keep Life o seguite il brand su Instagram!

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Keep Life nasce da un’intuizione del designer Pietro Petrillo: nel periodo natalizio nel sud Italia si consuma molta frutta secca e Pietro notava come i gusci, ormai privi del proprio frutto, andavano a comporre e a formare un
manto armonico e irregolare, caratterizzato da diverse sfumature di colori e dimensioni… da queste osservazione Pietro inizia a sperimentare con questi scarti e agli inizi del 2017 nasce il marchio Keep Life, accompagnato dal brevetto per invenzione industriale. Agli inizi del 2018 la designer Ilaria Spagnuolo entra a far parte del progetto.

Keep Life è un materiale composito a natura lignea, plasmabile e auto-indurente, generato utilizzando i gusci di nocciole, di castagne, di noci, di mandorle, di pistacchi e di arachidi, con l’aggiunta di un legante privo di sostanze nocive, di cariche e riempitivi, di solventi e di formaldeide (parte del brevetto).
Ogni guscio ha in comune due principali peculiarità: una è quella lignea/meccanica che dona al guscio proprietà di resistenza, durezza, rigidezza e densità; l’altra è quella relativa alla stagionatura. Questa avviene in due momenti: il primo durante il periodo di maturazione del frutto; il successivo dopo la sua raccolta e la conseguente operazione di sgusciatura che conferirà una resistenza maggiore.
La lavorazione prevede una selezione dei gusci, differenziandoli per resistenza e colore, attraverso una prima analisi granulometrica eseguita tramite setacciatura. Una volta raggiunta la combinazione desiderata, si può passare alla fase dell’impasto, prodotto interamente a mano, che avviene utilizzando gli scarti e il legante.
Si prosegue con l’essicazione del materiale con conseguente autoindurimento all’interno di stampi, progettati su misura e realizzati mediante stampaggio 3D con filamenti naturali. Questi sono poi sottoposti a compressione attraverso l’utilizzo di una pressa idraulica. L’intero processo di essicazione ha una durata che va dai 20 ai 30 giorni ed è effettuato in modo del tutto naturale. L’ultima fase di lavorazione prevede l’utilizzo delle tradizionali attrezzature da falegnameria con l’impiego della tecnologia CNC.

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Il risultato ha tre differenti gradazioni di colore, dal più chiaro al più scuro, e tre diverse tipologie di levigatura. Si passa da una superficie che mette in evidenza l’aspetto materico, ad una semimaterica, fino ad arrivare ad una
superficie liscia e compatta, non porosa, priva di giunzioni visibili, che soddisfa gli standard più elevati da un punto di vista estetico, costruttivo, funzionale e igienico.

Keep Life (che significa mantenere in vita) trova la sua collocazione naturale nel campo dell’arredamento e dell’edilizia, entrando a far parte di quelle categorie di materiali eco-sostenibili, innovativi e bio-ispirati. Con l’utilizzo di questo materiale si realizzano prodotti che spaziano dalla micro scala, come lampade, arredi sostenitori (sedute e tavoli), arredi contenitori (credenze, armadi, librerie pareti attrezzate ecc.), alla macro, come la realizzazione di rivestimenti e pareti tecniche divisorie.

La finalità di Keep Life è creare una valida alternativa al legno, in modo da non avere una diminuzione del verde globale, ma al contrario, un aumento ed un incoraggiamento a farlo crescere. Nella visione green del brand, vi è l’intenzione di dare un reale contributo all’incremento del verde comune, provvedendo ad un rimboschimento delle aree pubbliche con alberi utili alla causa del materiale, interagendo con gli organi preposti. Questa azione mira a rendere complici la Natura e la collettività, sensibilizzando quest’ultima alla conoscenza diretta dell’ambiente e delle ricchezze presenti sul territorio italiano.

Non si tratta né di riciclo, né di riuso, Keep Life è continuità, rappresenta un processo che cerca di generare un’alternativa concreta di materia, trasformandosi in un nuovo involucro e diventando così un’estensione dell’albero da frutto all’interno di uno spazio domestico o urbano.

Per saperne di più visitate il sito di Keep Life o seguite il brand su Instagram!

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In via Vigevano 18, un palazzo di quattro piani, ex sede del laboratorio e show room del fashion brand Piazza Sempione, ha aperto il nuovo temporary store Ikea. Vicino ai Navigli, il brand svedese inaugura uno spazio espositivo e punto vendita dedicati al mondo del cibo e della cucina, ma soprattutto della sostenibilità come spiega nel discorso di presentazione il nuovo amministratore delegato di Ikea Italia, la spagnola Belèn Frau: “Con questo temporary store vogliamo raccontare la storia del cibo nella casa di ognuno di noi. E la cucina è il punto centrale: è il luogo dove conserviamo gli alimenti, prepariamo pranzi e cene, mangiamo e – si spera sempre meno spesso – abbiamo a che fare con avanzi e scarti. In questo senso, lo spazio che abbiamo voluto aprire qui in città si propone come punto di riferimento per condivisione e innovazione sul tema.”

La parte interessante dello store è quella sulla cucina del futuro, in cui la collaborazione tra l’incubatore londinese di innovazione Ideo, la  Eindhoven University of Technology e l’Ingvar Kamprad Design Center dell’Università di Lund dà vita a prodotti come un tavolo a induzione che riconosce i cibi e suggerisce le ricette, rubinetti che permettono di riciclare l’acqua non contaminata e un frigorifero che lascia spazio a contenitori in grado di raffreddare il cibo a induzione, pronti a trasformarsi in padelle se necessario.

Questo temporary store composto da un punto vendita, un’esposizione, una cucina per eventi e una tavola calda, è stato pensato anche per  rappresentare a Milano i Paesi scandinavi, tra i grandi assenti dell’esposizione universale. Per ora, la presenza di Ikea in via Vigevano è confermata fino al 30 settembre.

 

 

Tomorrowmachine è il nome di uno studio svedese con basi a Stoccolma e  Parigi che si è specializzato nel packaging e nel food design. Ricerca, tecnologia dei materiali e soprattutto tanta tantissima intelligenza, queste sono le cose che li distinguono. A vedere i loro progetti si rimane stupefatti da come la scienza e la tecnologia possano essere trasformati in qualcosa di così esteticamente bello e al contempo utile. I loro concept di packaging rispondono in modo perfetto a classiche domande sui consumi e smaltimento degli imballaggi. Ecco quindi una carrellata di progetti, dal germogliatore che non ha bisogno di cure e che si serve in tavola come una torta al packaging che dura esattamente quanto il suo contenuto. Si passa poi alle stoviglie auto-pulenti che fanno gola a tutti e al packaging che si deforma-come per magia- con il calore. Ecco quindi vaschette che si ingrandiscono con l’acqua e altre che si aprono solo quando la pietanza all’interno è arrivata alla giusta cottura.

A parole sembra di essere catapultati in una puntata dei Jetsons e questi progetti sono infatti degni della loro colf robotica Rosie. Ma forse il futuro di questi oggetti non è così lontano e per una volta possiamo fare un sospiro di sollievo pensando che designer come questi possano aiutare il mondo a girare nel verso giusto.

 

I progetti : Microgarden Kit, This too shall pass, Ekoportal 2035, Sustainable expanding bowl, Self opening package.

 

Domani 29 marzo 2014 si celebra il 7° anniversario dell’ EARTH HOUR, giornata mondiale a favore della salvaguardia del nostro pianete nonchè contro il surriscaldamento globale, che come ormai è noto è una delle conseguenze all’abuso della Terra da parte dell’uomo.

Promosso dal WWF, L’Ora della Terra consiste nello spegnimento globale delle luci per un’orpa, gesto simbolico che vuole sensibilizzare l’umanità a non abusare dell’illuminazione artificiale, causa dell’ inquinamento luminoso, e diminuire l’emissione di CO2.

Come possiamo comportarci noi Designer in questo senso? Beh, sicuramente spegnendo anche noi le luci di casa per quell’ora. Ma nello specifico del nostro mestiere, ogni giorno ricordarsi che un buon progetto non è dato solo dell’ergonomia e dall’outfit, ma è dato anche dalla sostenibilità, e cioè nel pensare al ciclo di vita del prodotto e in base a ciò utilizzare il materiale più consono a questa durata, evitando di generare scarti non più utilizzabili, ottimizzando il processo di produzione complessivo del prodotto, progettando dell’ecodesign!

Come sarà il nostro pianeta nel futuro se noi per primi non progettiamo in modo sostenibile?

La salvaguardia della Terra è un tema che deve stare a cuore a tutti. E’ ancora un’oasi di vita, non facciamola diventare come la Terra del 3000 immaginata da Matt Groening in Futurama!!!

“Ho visto un posto che mi piace, si chiama MONDO!”

http://www.earthhour.org/

http://www.wwf.it/noi_facciamo/oradellaterra/

earth hourFuturama_The_Late_Philip_J._Fry_Year_1000000000file_190887_0_Futurama_701 earthhourBuildings in Edinburgh switch off for WWF Earth Hour - Edinburgh, Scotland, UK - 28th February 2009.

Bangladesh, un territorio continuamente attaccato dall’instabilità climatica e geofisica, una zona in cui l’intervento dell’uomo ha quasi disintegrato imponenti ecosistemi, causando non pochi disagi alla popolazione.

L’architetto Mohammed  Rezwan, ha cercato di risolvere uno dei tanti problemi: proteggere la cultura.

Un progetto che sfrutta le debolezze del territorio, adattandosi e addirittura facendole diventare il suo punto di forza, sfruttandole al meglio.

Sono scuole galleggianti alimentati ad energia solare e garantiscono l’attività scolastica anche nei mesi delle piogge monsoniche, in cui sarebbe impossibile spostarsi.
Queste strutture sono costruite interamente con materiale facilmente reperibile e seguendo il metodo di costruzione locale, hanno connessione ad internet e biblioteche, sono predisposte sia per bambini sia per adulti che vogliono frequentare corsi serali di economia e finanza.

Il progetto è stato premiato ed encomiato nel 2012 al WISE, World Innovation Summit for Education.

 

Il “Next Future Program”, a cura di António Pinto Ribeiro, è un programma di iniziative culturali dedicata in particolare, ma non esclusivamente, alla ricerca e alla creatività in Europa, Africa, America Latina e Caraibi.
Nel 2013 commissiona un progetto allo studio di architettura Terrapalha, da costruire nel giardino della Fondazione Gulbenkian di Lisbona.

A Cabana (Il rifugio) è stato progettato e costruito dallo studio Terrapalha, diretto dall’architetto Catarina Pinto e con sede vicino a Lisbona. Nei loro progetti vengono utilizzati materiali locali naturali e biodegradabili.

I materiali  per questo progetto, utilizzati nel loro stato originale, sono stati raccolti nelle campagne portoghesi, in tutte le loro sfumature, sfaccettature e stratificazioni di colori e texture.
Tronchi di eucalipto, terra di varie tinte prelevata da terreni argillosi, tessuti del color della terra, juta verniciata a mano con miscele di argilla, olio di lino per l’impermeabilità, pittura minerale di silicati per la finitura, corda sisal per cucire a mano i vari pannelli.

Artigianalità: La struttura di 120 metri quadrati è stata assemblata in loco da 6 persone, in 20 giorni. È collegata solo da nodi, di cui circa 600 realizzati in corda sisal imbevuta di argilla liquida.

A Cabana di Terrapalha rimane fresca durante l’estate, a causa della massa in argilla, e mantiene un equilibrio tra umidità e ventilazione. Fornisce uno spazio per attività culturali estive, offrendo riparo dal sole e un rifugio fresco, invitante e creativo per i visitatori dei giardini della Gulbenkian Foundation.

Fino al 6 ottobre 2013
Fundação Calouste Gulbenkian
Lisbona

 

Si tratta di uno spazio di lavoro autosufficiente frutto della collaborazione tra il PAD studio, il gruppo SPUD e l’artista Stephen Turner.

Al momento si trova nel Regno Unito, sull’estuario del fiume Beaulieu dove verrà utilizzato per un anno come laboratorio per lo studio del fiume e dell’ambiente circostante.

Costruito secondo le tecniche costruttive navali e con materiali locali l’uovo contiene al suo interno una zona notte con letto, scrivania, fornello e doccia. Ormeggiato come una barca vi si accederà a piedi con il cambio della marea.

Le linee guida del progetto sono “lean, green and clean” “reduce, reuse and recycle”.  L’energia elettrica sarà energia pulita, di derivazione solare.

“Il tocco leggero e la natura di base dell’ Exbury egg si propone di ri-valutare il modo in cui viviamo, di considerare l’adeguatamente sostenibile e il futuro uso delle risorse naturali. Stephen Turner è interessato ad esplorare un rapporto più empatico con la natura che rivela il prezioso e trascendente nella vita di tutti i giorni. L’opera d’arte creata sarà derivare dall’occupazione di Stefano, in via di sviluppo attraverso l’esperienza diretta la comprensione dei cicli e dei processi naturali locali e il rapporto dell ‘ambiente per le narrazioni di attività umana nel calendario senza fine di vita stagionale.”

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the exbury egg – images courtesy of nigel ridgen

Avvistata un’ enorme giraffa gialla a Parigi , la scena iniziale di un film alla King Kong? No, si tratta solo dell’enorme scultura che attraversa il nuovo centro per l’infanzia nel quartiere di Boulogne Billancourt.

Frutto del lavoro dello studio francese Hondelatte Laporte Architectesm, la gigantesca creatura da allo skyline di questa zona un tocco nuovo. Inserita tra il quartiere anni ’70 di Vieux pont de Sevres e della nuova area Trapeze, questo originale edificio è vecino della famosa torre Horizons di Jean Nouvel.

La nuova casa per l’infanzia, che altro non poteva chiamarsi che Giraffe presenta una struttura composta da tre livelli sfalsati in modo da permettere l’ utilizzo delle coperture come aree di gioco. Pannelli di metallo bianco ondulati ne rivestono le facciate e a questi si aggrappano altri due animali; un orso polare e delle coccinelle, che fanno compagnia alla nostra amica gialla. Il centro è fornito di 60 posti letto e 20 posti per l’accoglienza diurna.

Nonostante le polemiche sulla scelta di inserire la giraffa, che è espressione della metafora di “giungla urbana”, l’edificio ha avuto successo e si è portato a casa il premio francese “zéro Energie Effinergie” per l’attenzione degli architetti dal punto di vista energetico e di sostenibilità.

L’idea è di animare lo scenario urbano attraverso l’immaginazione dei bambini. Questi animali selvaggi si appropriano dello spazio. Queste giocose e surreali figure introducono un pizzico di fantasia nella routine quotidiana in città, con l’obiettivo di contaminare la nostra vita con un po’ di poesia
Ecco cosa dicono gli architetti della loro opera che può piacere o no, ma di certo sorpende e perchè no, strappa un sorriso.