Negli ultimi anni, ricercatori e designer hanno mostrato che dagli scarti alimentari possono nascere molte cose. C’è chi è riuscito a creare fibre dagli scarti di agrumi, chi ha ricavato un nuovo materiale dai gusci della frutta secca, o chi ha prodotto un’ecopelle vegetale a partire dalla buccia di ananas che altrimenti sarebbe andata buttata. Un altro filone di ricerca, le cui applicazioni sono sotto i nostri occhi da tempo, studia l’impiego del compost alimentare per produrre energia sostenibile, rinnovabile, ed economica.
Attraverso un processo di fermentazione in assenza di ossigeno, alcuni batteri – detti metanogeni – sono in grado di “digerire” qualsiasi tipo di alimento, si tratti di zucchero, amido, proteine o grassi, trasformando la materia organica in una miscela di anidride carbonica e metano: in un solo giorno, questi microrganismi possono trasformare 1 kg di rifiuti alimentari in 1 kg di biogas.
In tempo di piena crisi energetica, difficile non pensare alle possibili applicazioni – comprese le più banali e quotidiane – del biogas proveniente dagli scarti, che appare come una risorsa potenzialmente preziosissima per il nostro futuro energetico.
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All’ultima edizione della Dutch Design Week di Eindhoven, il designer Bart Keiren ha esposto al Graduation Show dell’Academy un prototipo per l’applicazione domestica di questo processo di trasformazione chimica. Biogas Project consiste in un arredo “a isola” – una giocosa sovrapposizione tra una postazione scientifica, una scrivania e un piano cottura self-standing dai colori pastello – che ospita un piccolo impianto di digestione batterica. Sotto il ripiano di legno chiaro, due cilindri, uguali, connessi tra loro da tubi trasparenti: da una parte l’acqua, dall’altra un contenitore di rifiuti organici, invisibili ed ermeticamente sigillati.
L’installazione è concepita come un organismo vivente che, se “nutrita” con una tazza di scarti, produce in cambio una tazza di tè, scaldando l’acqua con il gas prodotto dal compost. Un sistema circolare che permette di sperimentare il rapporto diretto che esiste tra l’essere umano (e i suoi bisogni) e l’ecosistema che abita, inclusi i rifiuti che produce e i (micro) organismi che li popolano.
Il progetto di Keiren non è il primo ad abbracciare la svolta biofilica nel design e – a partire dallo spazio cucina – l’idea di un rapporto di proficua cooperazione con microbi e batteri, per far funzionare la casa. Sempre alla Dutch Design Week, nell’edizione 2011, Cédric Bernard insieme a Philips Design ha presentato Microbial Home, una serie di arredi progettati con un approccio innovativo e sostenibile: ogni azione diventa input per un’altra, un ecosistema ciclico in cui la casa è una macchina biologica che filtra e ricicla ciò che consideriamo rifiuto.
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Con la loro (apparente) semplicità, Biogas Project e Microbial Home guardano all’ambiente non come una risorsa da sfruttare ma come ecosistema vivente con cui collaborare, trasformando così anche un semplice gesto quotidiano come il cucinare. Questi progetti sono anche un invito a pensarci “connessi” ad altre forme di vita, in questo caso i microrganismi responsabili della fermentazione. E se il nostro futuro tecnologico non fosse artificiale, ma vivente?
È la domanda che si sono fatte le ricercatrici Anne-Sofie Belling, Bea Delgado Corrales, Romy Kaiser e Paula Nerlich dell’Hub for Biotechnology in the Build Environment dell’università di Newcastle, autrici del progetto Human-Bacteria Interfaces, un concept basato su interfacce vive, formate da consorzi microbici in grado di captare stimoli ambientali e restituirli sotto forma di segnali percepibili, per mettere in comunicazione il mondo umano con quello batterico. Un progetto speculativo che ci chiede però di pensare e progettare il nostro immediato futuro in ottica ecologica: “Quali relazioni potremmo costruire con i microbi, nelle nostre future case?”
Questo approccio ecologico al design solleva anche la questione dell’autonomia energetica: è possibile vivere in modo autosufficiente? La designer austriaca Vera Wiedermann – per cui il biogas autoprodotto non è una novità – ha una risposta: “Se ci prepariamo i pasti da soli, ci asteniamo dal consumare cibi pronti e seguiamo una dieta equilibrata, si producono abbastanza rifiuti organici da rendere la nostra unità di cottura completamente autarchica”. Tra i suoi progetti la creative direction del Biomat Temporary Recycling-Restaurant che, durante la Vienna Design Week del 2013, ha invitato per 10 giorni i propri commensali a portare i propri rifiuti organici in cambio di un piatto del menu. Secondo l’idea della cucina autosufficiente, chi non riciclava pagava il pasto.
Per maggiori informazioni sui progetti citati
Biogas project by Bart Keiren
Human-Bacteria Interfaces by Anne-Sofie Belling, Bea Delgado Corrales, Romy Kaiser and Paula Nerlich
Biomat Temporary Recycling-Restaurant by Vera Wiedermann, Sara Diadei, Vienna University of Technology
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