LAVORARE IN UNO STUDIO DI DESIGN/ARCHITETTURA pt.2

Quando parliamo di sostenibilità a pochi viene in mente il mondo del lavoro, eppure anche questo campo, soprattutto nel settore creativo italiano, deve essere più sostenibile. Abbiamo già parlato dell’argomento in questo articolo.

Purtroppo, ci sono altre brutte notizie, come il caso dello studio milanese Piuarch. Dopo aver chiuso il 2020 con 833mila euro di disponibilità liquide a fine esercizio, il cosiddetto “periodo difficile” ha visto i 4 soci titolari dello studio distribuirsi un dividendo da 160mila euro. Decisione che è stata presa il 7 settembre 2020. Nonostante avessero triplicato gli utili nel 2020, l’anno dopo hanno chiesto ai propri collaboratori esterni di fare domanda per il bonus partite Iva da 600 euro che lo Stato erogava ai liberi professionisti per poi girare il denaro allo studio. Per fortuna non si è fatta attendere la replica, forse, però, ancora più sconcertante. Chiara Gibertini, Business Development Manager di Piuarch, e Gianni Mollo, Project Leader Engineer, si sono detti “sorpresi dalla polemica innescatasi con la pubblicazione di quella riunione” perché “orgogliosi di essere ancora qui, tutti insieme, e non aver lasciato indietro nessuno dei nostri collaboratori” nonostante il “periodo difficile” in cui “come studio avevamo quasi tutti i progetti in stand-by”. Aggiungendo che a chi ha smesso di collaborare con Piuarch “quei 600 euro sono stati restituiti”. (fonte)

Il problema non è tanto la somma, ma la richiesta: quando si hanno degli utili come quelli sopracitati e si continua ad avere collaboratori freelance esterni perché economicamente più vantaggiosi dei dipendenti, non si può chiedere in un momento di crisi uno sforzo del genere ai propri lavoratori. Non è eticamente corretto. Come già detto in questo articolo, questa è solo una delle cose che possono capitare in uno studio, ciò non toglie che c’è bisogno di denunciare di più queste situazioni ed essere tutelati maggiormente.

Per fortuna, con l’era dei social, abbiamo gli haters e chi fa “critica” a modo suo, dalla pagina @riodine_degli_architetti all’hashtag #deforestami, ma questo non può e non deve bastare. Bisogna iniziare a tutelare la professione di progettista (il design in Italia non ha un Ordine Professionale, diversamente da Architettura e Ingegneria), imparare i propri diritti e i propri doveri (invitiamo tutti a leggere articoli sulla differenza tra lavoro autonomo – p. iva/ freelance – e lavoro dipendente). Come per molte altre questioni, le condizioni di lavoro non dipendono solo dai titolari degli studi, ma dalle norme e dalle regole che il nostro paese impone loro e dalla consapevolezza che ognuno ha del proprio lavoro.

Prendendo come esempio realtà concrete come Artworkers Italia, e con l’aiuto di istituzioni impegnate sul tema, ADI (Associazione per il Design Industriale) per citarne una, è venuto il momento di riformare le norme che regolano l’impiego nel mondo del progetto, al fine di creare rapporti di lavoro etici.

Chissà cosa direbbe Enzo Mari oggi.

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