OFF CAMPUS, i laboratori di quartiere milanesi per l’innovazione sociale

Questo articolo è stato scritto per Salone del Mobile.Milano e precedentemente pubblicato sulla piattaforma salonemilano.it

Nel Mercato Comunale coperto di Viale Monza a Milano non ci sono solo attività commerciali ma anche un laboratorio di quartiere del Politecnico di Milano, Off Campus Nolo. Aperto a settembre 2020, questo spazio segue l’apertura del primo campus satellite, Off Campus San Siro, inaugurato nel 2019. In questi luoghi, docenti, ricercatori e studenti sviluppano attività di ricerca, formazione, ma anche progettazione condivisa e lavoro sul campo. Nello spazio di Viale Monza Davide Fassi, Professore Associato del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, e il Polimi DESIS Lab, gruppo di ricerca che coordina sui temi del design per l’innovazione sociale, portano avanti i progetti sul quartiere.

Gli Off Campus sono Laboratori di quartiere che lavorano attivamente con e per la collettività. Com’è nata l’idea di creare dei veri e propri presidi all’interno della città?

Il progetto nasce all’interno di Polisocial, il programma di responsabilità sociale del Politecnico di Milano nato ormai più di 10 anni fa. L’idea era di mettere a sistema una serie di attività didattiche e di ricerca sul territorio, legate a design, architettura e ingegneria, che l’università svolgeva sul campo. Si sono immaginati degli spazi diffusi, dei campus satellite della dimensione di un ufficio o di un negozio, che potessero dare continuità alle attività locali ma al tempo stesso fare parte di un sistema, lavorando (quasi) 365 giorni l’anno su una porzione di città.

Non so se chiamarlo trend, ma questo tipo di iniziativa di aprire spazi al di fuori dei campus universitari esiste anche a livello internazionale, non è così sviluppata ma ci sono dei casi interessanti.

Per esempio?

C’è il mondo legato ai progetti di agricoltura urbana, con università come Harvard e Yale che hanno aperto veri e propri laboratori a cielo aperto dove la gente viene coinvolta nella produzione di cibo fresco. Esempi virtuosi arrivano anche dalle Cina dove la Tongji University di Shanghai ha “adottato” il quartiere in cui la scuola di design ha sede aprendo degli spazi per la progettazione con la cittadinanza. . Da un lato c’è il tentativo di  sensibilizzare su alcuni temi, legati per esempio a sostenibilità sociale, equità, distribuzione risorse, lotta alla povertà, dall’altro il designer cerca di porsi non più come “superstar” ma come  di attivatore di buone pratiche, facilitatore di processi, mantenendo il fondamentale ruolo di progettista. (continua)

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Com’è stato percepito Off Campus dai cittadini?

Si tratta di relazioni costruite  con una serie di iniziative fatte nel tempo: a NoLo, abbiamo iniziato a lavorare con l’attivissima social street di quartiere (il Nolo Social District)  nel 2015/2016. In questi 5 anni siamo riusciti a creare un legame, perché quando si fa un’attività progettuale condivisa, l’empatia con il territorio è fondamentale. Dopo anni di decine e decine di interviste e sessione di coprogettazione, la nostra apertura non è stata una grande sorpresa. Per di più, il fatto di aver portato con noi Radio NoLo e creato uno spazio in comune con loro, ha aiutato molto a comunicarci sul  territorio. Non ci conoscono tutti ma l’accoglienza è stata buona.

Un esempio degli attori coinvolti su NoLo?

Le prime attività erano legate alla narrazione che i media stavano dando del quartiere come luogo creativo e casa di hipsters. Abbiamo coinvolto gli artisti locali per provare a co-progettare delle mostre delle loro opere in luoghi non convenzionali all’arte e questo ci ha permesso di conoscere il settore creativo e una serie di attori commerciali e di capire che quella narrazione in realtà aveva radici ben più profonde che andavano oltre al fenomeno del momento. Poi, grazie alla forte proattività delle persone coinvolte, abbiamo continuato il progetto e iniziato una collaborazione con Nolo Social District. Questo ci ha permesso di avere a disposizione una vasta platea di persone con cui fare coprogettazione su temi legati al cibo, alla riqualificazione di spazi pubblici e infine il Mercato in cui oggi siamo.

Prima San Siro, poi NoLo e in futuro Corvetto. Tre aree che sono protagoniste di un cambiamento, dal nuovo stadio al villaggio olimpico per il 2026. Come si posiziona l’intervento degli Off Campus rispetto questi nuovi sviluppi urbanistici?

Si tratta di un tema complesso su cui si possono fare delle considerazioni. Pensiamo alle città come organismi viventi, è impossibile che un luogo rimanga quello per sempre, ma non è nemmeno auspicabile. Così come la società è in continua evoluzione e non la si può bloccare nei luoghi che frequenta e tenerli statici. Dato questo punto di vista, una delle nostre missioni è capire e cercare di aiutare i processi in corso con le competenze politecniche, come anche comprendere con quali attori c’è un margine di interlocuzione, anche con azioni politiche. Bisogna anche però rendersi conto che ci sono alcuni aspetti che vanno al di là di alcune scelte. Per esempio, dopo un lavoro intenso abbiamo portato avanti iniziative per la trasformazione dello spazio pubblico, chiamate anche urbanismo tattico, che alcuni hanno letto come gentrificazione. Si tratta di progetti che migliorano la fruizione di certi luoghi. Non vuol dire “fare un posto per ricchi” ma migliorare la qualità della vita quotidiana per tutti, senza necessariamente creare dei divari. Questi processi “dal basso” però devono essere accompagnati anche da azioni “dall’alto” che devono creare le condizioni per garantire l’accesso all’abitare, alla casa, ai bisogni primari ad una eterogeneità di soggetti.  .

Milano e la città dei 15 minuti. Quale sarà il futuro degli Off Campus?

Come ogni sistema, anche questo ha un suo limite di sviluppo, è impensabile per me che ci siano 88 Off Campus come gli 88 quartiere in cui è divisa la città. L’idea è quella di aprire dove ci sono necessità, opportunità di progetto e una comunità proattiva. La città di prossimità si muove in questi termini: provare a suddividere un’area molto grande come il Comune di Milano, in componenti che sono autonome per un certo tipo servizi, ma al tempo stesso parte di un sistema che beneficia di quello che accade intorno. Mi auguro e immagino che ci sia la volontà di portare avanti questi laboratori in tanti altri quartieri, non è necessario in tutti, ma dove c’è bisogno e c’è volontà di collaborare.

Parlando sempre di futuro, come evolveranno le relazioni tra l’università e le istituzioni milanesi? Cosa si può migliorare?

Ci sono già relazioni e buone pratiche fra i diversi attori istituzionali che si occupano di design. Il Politecnico di Milano con tutto il sistema design, Scuola, Dipartimento di Design e Poli.Design hanno una serie di collaborazioni con ADI e le altre scuole di design milanesi, con il Comune, con il Salone del Mobile e con luoghi di produzione culturale come Base o Mare Culturale Urbano.

Si può fare sempre di più e Milano è un sistema che funziona. La vera sfida è portare il design, inteso come non solo progetto ma anche cultura del progetto e del processo, in luoghi dove queste pratiche non ci sono ancora. Luoghi piccoli e remoti, lontani dalla creatività. Lì sono le vere sfide perché qua c’è già tanto. Quello che serve a Milano e a queste relazioni è pensare che cosa succede fuori.

update: Il progetto OFF CAMPUS del Politecnico di Milano è tra i premiati dell’edizione 2022 dell’ Ambrogino d’Oro.

Cover, Off Campus Nolo, photo courtesy Politecnico di Milano

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