Tre storie di progetto da EDIT NAPOLI

L’ultima edizione di EDIT Napoli che abbiamo anticipato qui – curata da Domitilla Dardi e Emilia Petruccelli, si è conclusa lo scorso 9 ottobre, e ha contato una cinquantina di espositori, oltre ai 24 del Seminario, la sezione espositiva dedicata ai designer under 30.

Tra i progetti esposti, alcuni affrontano l’esistente con spunti che mischiano passato e futuro e tutti orbitano attorno a valori comuni: la riscoperta della territorialità e il recupero di un design “lento” e sostenibile, anche socialmente. Lo provano i diversi progetti di social design in mostra quest’anno, come il Design Lab di San Patrignano e le Officine sensibili, sotto il motto che si legge sulle bandiere e sui gadget di questa edizione: Let’s be fair.

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EDIT Napoli 2022, Complesso di San Domenico Maggiore, ph. Serena Eller Vainicher

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Percepibile negli spazi di Edit è la capacità dei designer di dare forma alle idee e di raccontare storie. Una di queste è racchiusa nell’intreccio lanoso del progetto Tracce, una coperta in lana di pecora alpagota in due versioni, bianchina e moretta a seconda del vello impiegato. Queste pecore tipiche dell’Alpago – un habitat limitato alla zona sud-orientale della provincia di Belluno – rischiano l’estinzione. Ce lo spiega Alessandro Ruga, co-founder dello studio lombardo Ruga Perissinotto che, collaborando con lo storico Lanificio Paoletti, ha raccontato attraverso la lana di questi animali una storia quasi perduta: la migrazione degli allevatori bellunesi dalle malghe alpine alle città e il conseguente abbandono non solo dei luoghi, ma anche del bestiame che fino al XIX secolo rappresentava la fonte di sostentamento principale fornendo lana, carne e latte alle famiglie. Per via del suo vello troppo grezzo, che nessun lanificio industriale voleva più lavorare, l’esistenza della razza alpagota – pur così importante per la biodiversità del territorio – si è trovata seriamente minacciata. 

Scavando negli archivi e intrecciando rapporti con il Lanificio, che ha reintrodotto questa lana dalla storica produzione, lo studio ha sviluppato le due coperte Tracce, presentate a Edit in anteprima. Per ottenere le sfumature tenui e nebbiose e i delicati pattern che ne attraversano il tessuto la lana non viene tinta, ma lasciata al naturale: “Dopo la tosatura gli allevatori dividono i velli più bianchi e gialli, la lana greggia, da quelli più grigi e scuri, la lana moretta. Unendo e mescolando un po’ di greggia e moretta si ottiene un mélange dal grigio al marroncino, e riusciamo ad ottenere 4 colori naturali. Grazie a questo si possono realizzare fantasie senza tingere” spiega Paolo Paoletti, responsabile commerciale del lanificio.

Quello di Ruga Perissinotto è un percorso di intensa ricerca verso il recupero di opportunità produttive, economiche e creative sul territorio e verso l’attivazione di una filiera dove il prodotto è solo il punto di congiunzione tra la fine di una storia e l’inizio di un’altra. 

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Tracce, bianchina, design Ruga Perissinotto for Lanificio Paoletti

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Tra le partecipazioni di quest’anno vediamo per il secondo anno quella dello studio di Lione Atelier Malak, del cui lavoro è facile innamorarsi. Tubi metallici (rigorosamente neri) abbinati a materiali dal carattere naturale, come cuoio, legno, pelli o pietre, sono una firma stilistica di Malacou Lefebvre, designer e artigiano che ha deciso di fondare il suo Atelier dopo aver abbandonato la sua carriera nella finanza. All’ultima edizione della mostra, Atelier Malak ha presentato due sedute che parlano di disconnessione e vita lenta. La prima, la Oisif n°4 che fa parte dell’omonima collezione è progettata per favorire l“ozio e il ritiro” nello spazio domestico: “In francese, con la parola oisif si indica una piacevole sensazione di inattività rilassata, condizione che oggi si prova raramente.” spiega Malak a proposito della n°4, una lounge chair da interni in tubo metallico, cuoio e legno di quercia, ispirata alle scaffalature di bambù e pensata, letteralmente, per non fare niente. “L’inclinazione di questa seduta, che pure è molto confortevole, rende difficile anche usare il cellulare”.

Gli arredi di Atelier Malak contengono sempre un invito implicito a “staccare” e ad affrontare il mondo in un modo più sano e consapevole. A Edit Napoli Lebfevre ha presentato anche la collezione di sedute in acciaio Exopode. Prendono il nome dal termine francese che indica l’esoscheletro degli aracnidi, infatti la n°3 in mostra è uno scheletro piatto monocromatico, ergonomico (per lo studio della postura il designer ha collaborato con un esperto fisioterapista) e geometrico che, nonostante il materiale rigido, offre un comfort inaspettato. “Exopode è disegnata per aprire le spalle, favorendo una postura corretta ma anche, simbolicamente, un atteggiamento positivo e aperto verso il mondo.”

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Oisif n°4, design Atelier Malak, ph. Laura Favand

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Da un altro sguardo, diretto dove di solito il design tradizionale non guarda, nasce Cutouts, il progetto presentato per questa edizione dallo studio multidisciplinare romano Millim Studio fondato da Chiara Pellicano ed Edoardo Giammarioli nel 2016.  

Frugando tra gli scarti della produzione industriale di un fornitore di lamiera i designer hanno progettato e sviluppato la collezione in mostra – che include cinque vasi e quattro coffee table — sfruttando i ritagli scartati dalla lavorazione a taglio laser dell’azienda. Il risultato è una serie di composizioni geometriche flat dall’alto impatto visivo ed estetico, dove i ritagli – solo minimamente rifiniti e smussati – sono assemblati con saldature invisibili in arredi che conservano “il negativo” dell’oggetto da cui derivano. “I tagli che vedi,” spiega Edoardo, “sono effettivamente il segno degli altri progetti, e avevano già un’espressività propria molto forte. Abbiamo scelto di mantenerne la forma originale, limitandoci a un lavoro di composizione basato sulla staticità del pezzo e sulla geometria del volume, in modo che i pezzi fossero geometricamente coerenti tra loro. Prima abbiamo trovato i resti, e poi abbiamo progettato.” 

Un design “a ritroso” che cerca opportunità nell’esistente e lo valorizza sfruttando un potenziale di riproducibilità. Nel corso della ricerca Millim ha infatti individuato una serialità nella produzione di scarti del fornitore e selezionando quelli che sarebbero stati sempre disponibili, ha progettato per loro un nuovo ciclo di vita e un nuovo mercato, evitandone la fine in discarica.

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Cover, EDIT Napoli 2022, Complesso di San Domenico Maggiore, ph. Serena Eller Vainicher

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